Il diritto dei più fragili a essere felici ricomincia dalla garanzia di libertà

la recensione
Il valore della letteratura è soprattutto quello di non far sentire solo un uomo, scoprire che i suoi desideri sono universali, che non è isolato da nessuno, «che sei parte di». Questo lo diceva Fitzgerald. Seguito da Wallace, Pavese, Brodskij, Pamuk e tanti altri. Ma insomma è un’esperienza che fa qualsiasi buon lettore, a un certo punto c’è sempre una frase che lo illumina, che lo consola, tanto da fargli pensare che quegli strani sentimenti o emozioni che prova, qualcun altro li ha scritti, quindi sì, anche lui «è parte di». Sarà per questo che l’ultimo libro di Paolo Cendon sceglie (anche) un registro letterario per parlare di temi di cui si è sempre occupato. Basti il titolo: “Rifiorire. Storie e pensieri sul diritto alla felicità” (Corsiero Editore, pag. 121, euro 15).
Cendon è professore di Diritto privato, autore di saggi e romanzi, a lui si deve il riconoscimento del cosiddetto Danno esistenziale e dell’Amministratore di sostegno, ha avuto carta bianca dal Ministero per confezionare leggi che migliorino, sul piano dei diritti, le condizioni di vita dei più fragili. Altre proposte cui lavora sono l’abolizione del Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) e lo Sportello della fragilità, sostenute anche dall’associazione che ha fondato nel 2018, “Diritti in movimento”.
Insomma è artefice di una nuova visione della debolezza e di quella “rifioritura” che è possibile, non senza una visione ampia che contempli diritti, doveri e responsabilità da parte dell’assistito e di chi lo assiste. Non si tratta quindi di intervenire soltanto sui diritti, ma di riconsiderare complessivamente lo status dei più fragili.
“Rifiorire” è un testo in qualche misura divulgativo. Ce lo lascia intendere la struttura: vere e proprie lezioni tenute al Dipartimento di Scienze Umane di Venezia, in un corso dal titolo “La persona e i suoi diritti”, che raccoglie esperienze, competenze e molte storie. Vicende tratte dalla fiction narrativa e storie vere, non fa differenza quando la letteratura è d’eccellenza. Ma va detto che spesso la vita supera la fantasia. Per cui certo, “L’uomo dal braccio d’oro” (il romanzo di Algren) è un affresco preciso di una persona privata dei suoi diritti, ma forse nel contesto fanno più effetto le esperienze dirette dell’autore e di altri individui reali, emozioni frontali come la risposta alla domanda che Cendon si pone: l’esperienza più bella che possa capitare a una persona?
Non occorre tirare in ballo troppa arte, basta una vicenda dell’autore ancora bambino che, colto da una grave malattia, è poi riuscito a rimettersi in piedi. Quindi la cosa più bella è l’autonomia, riuscire a passeggiare ed essere nuovamente prensili alla vita. E cioè la libertà. Non sempre è un esito possibile. Ma lo è di più se diamo al disagio (anche) una risposta “esistenziale”, oltreché, beninteso, pragmaticamente adeguata. Ecco allora altre storie – oltre a quelle dei molti romanzi e film citati – utili a farci comprendere meglio cosa significhi “fragilità”, cosa significhi addentrarsi in un percorso complesso, che oltre a una risposta medica deve prevedere ben altre soluzioni, come quelle economiche ed esistenziali.
Da qui la proposta del “Patto di rifioritura” (un contratto che l’individuo fragile stipula con la persona da cui vuole essere salvato e che coinvolge i Comuni e il giudice tutelare, non solo lo psichiatra), del “Progetto di vita” (una vera e propria carta d’identità del disabile che sarà vagliata da una Commissione dopo la morte del genitore) o dell’abolizione dell’interdizione.
Le storie più empatiche sono quelle vere. Quella di Sebastiano, Marilena o Zeno, un giovane triestino che benché guarito da disturbi psichici, non riesce a farsi togliere l’interdizione e perciò non può neppure sposarsi, nonostante lo desideri: «Interdire è sbagliato» ha confessato intervenendo a una conferenza, e non perché ora sia sano, ma perché «è proprio umiliante l’etichetta. Non dovrebbe succedere a nessuno».
Certo, ci sono soggetti che riescono a riprendersi, altri per i quali si prevedono ricadute, storie di droga, depressione, alcol, adozioni, prostituzione; ognuno però ha diritto a diversi trattamenti, perché le persone e i casi sono diversi. Così la storia di Anna, violentata da un prete dagli otto ai quattordici anni, una storia vera, di orrore e di riscatto perché la “rifioritura” dipende anche dalla determinazione personale. Oltre che dalla capacità d’ascolto, dal saper offrire salvezze ragionevoli.
Chi è fragile, chi è a rischio, ha bisogno di qualcosa di particolare, non di una pietà generalizzata: «quando l’interessato dalla carrozzina manda segnali per fuori, lo sciocco guarda le ruote», come dire che spesso a una richiesta di aiuto lo sciocco non presta l’ascolto adeguato ma compatisce (guarda le ruote). Cendon esamina le varie possibilità di recupero, compresa la bontà del risarcimento economico ma «spesso la leva per riemergere spiritualmente, si colloca a livello del linguaggio». E servono sentenze in grado di far sentire il sofferente compreso e ascoltato.
Per pentimenti e conversioni sì, viene in soccorso la letteratura: vittime che perdonano e cattivi che si convertono sono disseminati da Tolstoj a Douglas, e anche Maugham ci aiuta a capire cos’è il raggiungimento dell’equilibrio personale. E comunque, imboccare la via del bene è cosa di cui il diritto, pure nella vita vera, terrà conto. —
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