Il grande squalo venuto dalla preistoria dà spettacolo ma non fa più paura

Per cominciare, “Shark – il primo squalo” è cinema. Non sarà cinema d’autore, certamente non è Spielberg, ma è pur sempre regno dell’immaginifico, luogo in cui anche l’inverosimile diventa possibile. Il buon vecchio cinema spettacolare di una volta, senza altre pretese se non quella di intrattenere un vasto pubblico regalando quasi due ore di sussulti e di emozioni sotto gli abissi con un gigantesco nemico preistorico da domare (il megalodonte, lo squalo più grande mai esistito e ritenuto estinto). Turteltaub punta sulla dimensione “action” senza preoccuparsi troppo di costruire letture politiche e sociologiche, come accadeva invece nel famoso “Lo Squalo” del 1975, allora metafora della società capitalistica (qui al massimo si scorge un telefonato messaggio ecologista nel rapporto Uomo/Natura). “Shark” si culla in questo mood d’altri tempi, spingendosi come un Jules Verne alla scoperta di luoghi inesplorati dai quali riemergono, scatenati dalla Hybris umana, giganti indomabili come i dinosauri di “Jurassic”, come un enorme King Kong in versione acquatica. Jason Statham è il reboot di Bruce Willis, maschio alfa tutto istinto e coraggio, l’unico in grado di affrontare “la bestia”. E se il tributo all’archetipo spielberghiano c’è con l’inevitabile scena sulla spiaggia gremita di bagnanti, assieme alla strizzata d’occhio a “Moby Dick”, completano il quadro la possibilità di un amore interraziale e una consistente quota di capitale cinese utile ad aprire le porte al mercato d’oriente. Tutto sommato il successo dovrebbe essere assicurato.
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