Il maestoso Sior Todero di Branciaroli apre la stagione del Rossetti di Trieste
La commedia di Goldoni diretta da Paolo Valerio apre il cartellone dello Stabile. L’attore: «Il mondo femminile è il vero protagonista»
È con la "prima" regionale di “Sior Todero Brontolon”, con Franco Branciaroli nel ruolo del titolo e la regia di Paolo Valerio, che il Rossetti, oggi, 2 ottobre, alle 20.30 (in replica sino al 6 ottobre), inaugura la sua 70° stagione.
Per lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con il Teatro degli Incamminati e il Centro Teatrale Bresciano, quello a Trieste è praticamente un debutto, dopo essere andato in scena solo in anteprima nazionale, a settembre, all’Estate Teatrale Veronese.
L'allestimento offre una rilettura dell’avaro e dispotico “vecchio fastidioso” di Carlo Goldoni in cui il rigoroso rispetto filologico per il testo va a sposarsi con un’originale soluzione drammaturgica. Le marionette, i Piccoli di Podrecca, appaiono infatti scena, accanto agli attori, come alter ego dei personaggi, sollevandosi con il loro cuore di legno come danzatori nell’aria per poi tornare a terra, attratti dalla gravità e dalle emozioni.
Lo stesso Goldoni scoprì da bambino, grazie al padre, il divertimento del teatrino di marionette e in questo allestimento il Sior Todero di Branciaroli, odioso patriarca, irritante con la servitù e opprimente con il figlio e la nipote, non è un mercante, bensì è come un Grande Burattinaio.
La famiglia rappresenta da generazioni spettacoli di marionette e la dimora veneziana diventa un teatro di angeli dal corpo spezzato, in cui gli strumenti dei manovratori sono fili, gambe, braccia, teste, quinte, fondali, corde, graticci, ribaltine, trucchi e bastoni. E in tempi in cui il concetto di “patriarcato” domina le cronache in accezioni plumbee, la riconsegna all’amore generoso della giovane Zanetta, a cui si voleva imporre un matrimonio d'interesse, si intreccia alla gioia con una venatura di turbamento. In scena Branciaroli, e Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Maria Grazia Plos, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Valentina Violo, Emanuele Fortunati, Andrea Germani e Roberta Colacino immergono nell’universo di Goldoni e nel suo linguaggio, dalla “rusticità” del vecchio Todero e di Desiderio alla parlata “civile” e cittadinesca di Marcolina, dal femminile ed effusivo esprimersi di Fortunata sino al dire più ingessato e formale di Meneghetto.
Franco Branciaroli, fin dall'antichità il vecchio dispotico, tirchio e sospettoso è una delle figure cardine del teatro comico. Il suo Sior Todero però richiama anche a Vito Corleone che nel manifesto del “Il Padrino” è rappresentato con una mano che manovra i fili.
«Però nello spettacolo il mondo femminile è il vero protagonista. Goldoni scriveva per le donne e a salvare la giovane Zanetta è l’alleanza fra la coraggiosa nuora del vecchio avaro e l’intelligente vedova Fortunata».
Il gioco del teatro continua a divertirla?
«Ho iniziato questo mestiere, il più bello del mondo, nella sua epoca d'oro, e continuo a farlo. E meno male, perché vedo purtroppo una grande insoddisfazione là fuori, una pressione continua nel riuscire a farcela nella vita che io non ho mai conosciuto. Probabilmente con quello stress morirei in una settimana».
Inevitabile chiederle se a suo modo è "brontolon".
«Puntiglioso, a volte, ma sono consapevole delle mie fortune. Da “baby boomer” non ho conosciuto né guerre né fame. Molti miei coetanei hanno visto le loro famiglie passare dalla povertà alla ricchezza, che è anche un'emozione esistenziale. II giorno in cui morirò, se sarò onesto, mettendo in fila tutta la storia non potrò dire neanche una parolaccia».
La sua carriera e la sua storia di sicuro ha anche saputo "scriverle". Ha amato uno spettacolo più di altri?
«“Il teatrante” di Thomas Bernhard, ma anche “Finale di partita” di Samuel Beckett. Mi hanno preso il cuore. Quando le repliche sono finite mi è dispiaciuto lasciarli andare».
Il suo “inizio partita”, da bambino, è stato molto pericoloso, anche se, a proposito di buona sorte, ha vinto lei.
«A sei anni sono stato investito da un’auto. Nell’impatto con il parafango sono stato sbalzato via e ho battuto la testa contro una rotaia. Tre mesi di ospedale, ma ne sono uscito sano e salvo. E davvero non so neanche cosa sia un mal di testa. Ecco uno dei motivi per cui non mi arrabbio mai, quando rischio di esplodere mi dico: “Ehi, potevi non esserci!”, e non è uno scherzo».—
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