Il melograno della speranza
«Il melograno è un simbolo ricorrente nella mitologia curda, per me incarna ciò che è andato perduto per sempre: la fratellanza tra uomini dello stesso Paese. Un piccolo simbolo per una piccola utopia: ritornare a vivere come fratelli nel rispetto reciproco delle proprie radici». Bachtyar Ali, scrittore, poeta e filosofo curdo iracheno, conosce sin troppo bene tutto il peso di parole come violenza, ingiustizia, dolore, guerra. Lo sa perché lui stesso, oggi 58enne, ha preso parte non ancora ventenne alle proteste studentesche contro il regime di Saddam Hussein. Ferito, ha abbandonato i suoi studi in geologia per dedicarsi alla scrittura e dal 1998 vive in Germania, a Colonia.
Osannato dalla critica inglese e tedesca, in Italia è stato (fortunatamente) intercettato da una casa editrice di nicchia come Chiarelettere, che ha inaugurato la collana “Narrazioni” dedicata agli scrittori stranieri proprio con Ali e il suo “L’ultimo melograno” (pagg. 261, euro 16,90). Romanzo di una bellezza struggente sorretto da una qualità di scrittura - e di traduzione - eccezionale. La prosa di Ali, senza esagerare, è poesia: questo libro emoziona, commuove. Possiede un’anima potente, incanta. Consiglio: da regalare e da regalarsi, guai a non scovargli un posticino in libreria.
La storia è quella di un padre alla ricerca del figlio dopo una prigionia di ventuno anni in seguito alla sua opposizione al regime di Saddam. Un ex soldato rivoluzionario che ha lottato per l’indipendenza dei curdi. In realtà, questa è la storia di due generazioni, quella dei padri e quella dei figli. I padri, vittime e persecutori, incapaci di concretizzare nessuno dei loro ideali e tanto meno di conseguire alcuna libertà politica nonostante le battaglie e le rivoluzioni (“Credevo che dopo il trionfo della rivoluzione, il seme del paradiso sarebbe germogliato e avrebbe fecondato tutto il pianeta. Invece già all’indomani ho aperto gli occhi, e ho capito che ogni cosa era destinata a ripetersi”, fa dire Bachtyar Ali a un suo personaggio); e poi i figli, vissuti nel sangue, orfani di valori come fraternità, unità. Giovani alla deriva, e non c’è Dio, non c’è politica o società che possa salvarli. Due generazioni, migliaia di vittime. Non è “solo” un romanzo sui curdi, popolo perseguitato da sempre sulla propria terra; questa è una storia di valori universali.
Muzafari Subhdam per 21 anni è appartenuto alla sabbia: la sua prigione, una piccola cella in mezzo alle dune, circondata dal cielo e dal deserto. Per 21 anni la sabbia è stata la sua più intima amica. “Tu non sei più uno dei noi, e non lo sarai mai più”, gli dice il suo comandante una volta libero. “Profumi di purezza, la vita là fuori non è cosa per te”. Il pensiero più atroce, in galera, è che di là ci sia qualcuno che ti sta aspettando. E di là qualcuno c’è: un figlio, Seriasi, appena abbracciato e poi abbandonato. “Avevo dimenticato il mondo intero, ma non Seriasi. Lui era la sola cosa a non essersi trasformata in sabbia, la sola rimasta sempre viva in me. Ma io e Seriasi eravamo padre e figlio solo nella mia fantasia”. Affronta il presente con questo scopo e, in un Paese devastato, nella sua “missione” conosce chi più è stato vicino al suo Seriasi: Mohamadi Cuore di vetro, un giovane dal cuore puro, fragile; due sorelle dalle lunghe trecce, unite da un giuramento: non si sposeranno mai, non canteranno mai l’una senza l'altra, non si taglieranno mai i capelli e indosseranno sempre abiti bianchi; Nadimi Shazada, un ragazzo cieco senza più genitori. Tutti avranno a che fare con un piccolo melograno, isolato, ai margini della Terra. Può essere solo l’ultimo melograno del mondo cresciuto in cima a una montagna così vicina alle nuvole, al cielo e al sole. E poi ci sono tre giovani e tre melograni di vetro. E un segreto. Su un barcone che lo porta in Europa insieme ad altri profughi, tra le onde del Mediterraneo, Muzafari racconta la sua vita, che rispecchia quella di un’intera generazione perduta tra gli orrori della guerra.
«In Iraq Saddam Hussein è stato il dittatore più terrificante, ricorda Ali, ha raso al suolo quattromila villaggi uccidendo mezzo milione di curdi. Oggi si sta ripetendo ciecamente un destino senza via d’uscita. In Oriente, la speranza di pace e libertà è poca ma conduciamo questa battaglia per aggiudicarci un po’ di speranza, perché la responsabilità verso chi viene dopo di noi deve essere assunta».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo