Il Menocchio di Fasulo a Locarno «Racconto un uomo libero»

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Debutta alla 71.a edizione del Festival di Locarno il “Menocchio” di Alberto Fasulo, in corsa per il Pardo d’Oro e accolto tra gli applausi, ieri, alla proiezione in anteprima mondiale. «Un film diverso dai miei precedenti - racconta il regista sanvitese, che con “Tir” aveva trionfato al Festival di Roma nel 2013 - qualcosa che mi porto dietro dagli anni della scuola, quando per la prima volta sentii parlare del mugnaio di Montereale Valcellina».
Italia, Friuli, un piccolo villaggio tra i monti. Siamo sul finire del 1500, in piena Inquisizione, quando Menocchio, mugnaio autodidatta stanco di soprusi e ingiustizie, convinto sostenitore della parità tra gli uomini, affronta un processo per eresia, storia resa celebre dal libro “Il formaggio e i vermi” di Carlo Ginzurg. Non un film «storiografico- precisa Fasulo - ma il racconto di come quest’uomo sia giunto a rinnegarsi pubblicamente».
Cosa la colpisce di Menocchio al punto da volerci fare un film?
«La sua levatura morale. E il fatto che fosse un uomo qualunque, come potremmo essere noi».
Come si è preparato?
«È stato determinante l’incontro con il Circolo Menocchio di Montereale Valcellina e lo studio dei verbali originali del processo, così come prendere le distanze dal famoso “Il formaggio e i vermi”. Non inseguivo un’improbabile fedeltà filologica, volevo piuttosto sfidare il genere storico per creare un cortocircuito con la realtà. Ho cominciato a entrare nel film passando ore nei musei a studiare i pittori del ’500. Cercavo le risposte agli interrogativi che mi assillavano su ogni aspetto del film nei quadri e negli affreschi dell’epoca».
Il lavoro sulla fisiognomica dei personaggi è impressionante. Come ha scelto gli attori?
«Mi sono chiesto a lungo se fosse il caso di lavorare con attori affermati, immediatamente riconoscibili, ma osservando quei dipinti vedevo persone semplici, che con la loro postura, i loro vestiti, nel loro ambiente, diventavano personaggi. Così ho preferito l’idea dei non-attori. Persone comuni scelte in base alla fotogenia, alla biografia, alla sensazione che ho avuto al nostro primo incontro durante gli street casting. È stato un lungo viaggio nelle valli del Friuli e del Trentino. Quasi come un antropologo cercavo di comporre l’umanità che avrebbe avvolto il mio Menocchio. Decisivo è stato anche l’incontro con Marcello Martini, così vicino al personaggio che avevo in mente».
Anche la ricostruzione degli ambienti e la fotografia sono frutto di scelte radicali. Il risultato è un senso di “verità” stupefacente…
«Non avrei mai immaginato di girare un film in costume, ed è la prima volta che mi trovo a dover ricreare un’ambientazione, per gli altri film ero io che mi immergevo nelle realtà che volevo raccontare. È stato il periodo storico in cui è ambientato il Menocchio a suggerirmi le scelte sulla fotografia. Non ho usato luci artificiali. Mentre giravo mi ripetevo come un mantra: “Non temere l’oscurità, cerca la luce attraverso il buio, il buio racconta come la luce”. Il mio intento primordiale era incontrare Menocchio nel senso più ampio del termine e per far questo ho provato a far rivivere il più possibile la dimensione quotidiana dell’epoca. Per questo ho messo al bando le luci artificiali, non ho fatto leggere un copione agli attori, non imboccavo i dialoghi ma lasciavo che ognuno fosse libero di esprimersi nel suo linguaggio».
Menocchio è un film politico. Affronta i temi della verità e del potere. Attualissimo.
«Tutta la vicenda si gioca all’interno di questa triade: Potere del Sistema - Individuo - Comunità e la riflessione che si innesca ha un raggio ampio. Perché la parabola di Menocchio non è quella di un martire, mandato al rogo in nome delle proprie idee. Perlomeno non solo quella. È più contraddittoria, più vicina, quindi più umana. In un’epoca in cui il pensiero è ridicolizzato o distrutto con un semplice tweet, è quanto mai attuale la vicenda di un uomo che cerca il modo di lottare contro il potere e si trova a fare i conti con la paura, il tradimento e la complicità degli amici che lo vorrebbero zittire. Oggi siamo ossessionati dal consenso. Invece di approfondire le cose ci conformiamo, ci incaselliamo in banali slogan. Tutto è bianco o nero. Menocchio invece è libero pensiero. Si rinnega per poter stare in vita consapevole della sua verità. Nel mio film non ci sono vittime o eroi, ma un essere umano nel suo destino». —
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