«Il Nome della Rosa, capolavoro di oggi»

Luca Lazzareschi debutta al Rossetti con un allestimento kolossal nell’adattamento del libro di Eco
TRIESTE. Debutta questa sera sul palcoscenico del Rossetti – ospite del cartellone "Prosa" dello Stabile regionale – la declinazione teatrale del celebre romanzo di Umberto Eco "Il nome della rosa". Con la riduzione per la scena di Stefano Massini e l'adattamento e regia di Leo Muscato, lo spettacolo giunge ora a Trieste, atteso come uno degli eventi imperdibili della stagione teatrale. Si tratta di un vero e proprio kolossal, notevole nell'allestimento e imponente nella produzione, che ha visto, uniti nel progetto, tre importanti teatri italiani: il Teatro Stabile di Torino, il Teatro Stabile di Genova e il Teatro Stabile del Veneto.


Lo spettacolo è innanzitutto un omaggio all'indimenticabile Umberto Eco, scrittore ed intellettuale di ampio respiro, semiologo, filosofo e traduttore, la cui fama internazionale è legata a "Il nome della rosa": un giallo monastico-filosofico tradotto in 47 lingue, vincitore del Premio Strega nel 1981, poi diventato un successo cinematografico con un'eccezionale interpretazione di Sean Connery diretto da Jean Jacques Annaud.


Un'eredità che però non spaventa Luca Lazzareschi, protagonista nella versione teatrale nel ruolo complesso e affascinante di Guglielmo da Baskerville, l'erudito frate francescano un tempo inquisitore e ora guida spirituale del giovane Adso da Melk. «Il linguaggio del teatro è diverso e lo spettacolo, riduzione drammaturgica del romanzo di Eco, aggiunge la magia propria del teatro: i personaggi, di cui si sono lette le avventure nel libro, rivivono in carne ed ossa».


Lo spettacolo gioca su più piani interpretativi, esattamente come nel libro ci sono diversi livelli di lettura?


«Sul palcoscenico viene reso tutto quello che nel libro era trattato come letteratura: in teatro viene rispettata la trama gialla del racconto, per poi affrontare alcuni temi particolari presenti nel romanzo. Il pubblico vedrà un grande spettacolo con bravissimi attori, splendidi costumi e una bellissima scenografia».


La trama del romanzo è nota. Guglielmo si muove sullo sfondo di una tranquilla abbazia benedettina del nord Italia, nel 1327, dove si consumano delitti apparentemente senza movente. Come ha costruito questo personaggio così complesso?


«In realtà è già tutto nel copione, ma essendo in questo caso Guglielmo un personaggio letterario, Eco ci corre in aiuto rivelandocelo nelle postille al romanzo. Guglielmo è un frate francescano con un lato oscuro: un passato da inquisitore che ha mandato al rogo più di qualche strega, è un uomo avanti nei tempi, che non si fa prendere dai dogmi e dagli eccessi dell'epoca, ma cerca la luce attraverso la ragione e i segni che il mondo gli offre. Più di una volta asserisce che i dogmi sono il male, che la ricerca della verità è relativa, e che bisogna diffidare di chi vuole morire per affermarla».


Un messaggio sempre attuale quello di Eco, che scrisse questo libro nel 1980, negli anni in cui era vivo in Italia il terrorismo?


«Il capolavoro di Eco è estremamente contemporaneo, perché ci suona il campanello d'allarme riguardo al fondamentalismo religioso, che vuole affermare la propria verità ad ogni costo. È quello che in parte fa un personaggio fondamentale, Jorge da Burgos, che per nascondere il libro di Aristotele - dove il filosofo loda il riso come strumento di conoscenza - uccide più persone».


"Il nome della rosa" testimonia uno sforzo congiunto di tre teatri, un'operazione purtroppo sempre più rara nel panorama teatrale.


«Uno spettacolo che va in tournée per più di sei mesi è davvero cosa più unica che rara di questi tempi. Solo la sinergia di tre realtà teatrali ha fatto sì che si potessero raggiungere le piazze più prestigiose d'Italia, così come si faceva alla fine degli anni 90. Lo spettacolo ha ovunque un grandissimo successo: lo possiamo dire perché ormai siamo oltre la cinquantesima replica!».


Lei è uno degli attori più apprezzati nel panorama italiano, con una lunga frequentazione con testi classici, ottimo interprete di Shakespeare. Che ruolo le rimane più nel cuore?


«Sicuramente Amleto, come credo avvenga per tutti gli attori che hanno avuto la fortuna di interpretarlo. Anche dopo 140 repliche nei teatri più importanti d'Italia, mi rimane sempre la sensazione di non averlo acchiappato per il verso giusto. Amleto cambia la vita di un attore e anche dell'uomo, magari solo temporaneamente, che lo interpreta. È un personaggio unico, inarrivabile». "Il nome della rosa", con un cast di grandi interpreti, rimarrà in scena al Rossetti fino al 10 dicembre.


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