Il paradiso di Amadou non abita più qui nel “ricco” Nordest

di ANNALISA PERINI Il paradiso non è qui. Ma gli immigrati, quando cercano di timbrare il loro biglietto più fortunato sul treno del destino, davvero non lo sanno? Sembra impossibile in un’epoca in...
Di Annalisa Perini

di ANNALISA PERINI

Il paradiso non è qui. Ma gli immigrati, quando cercano di timbrare il loro biglietto più fortunato sul treno del destino, davvero non lo sanno? Sembra impossibile in un’epoca in cui ci pare, già con un cellulare, di tenere in mano il mondo intero. Eppure basta leggere il racconto di un viaggio, quello di Amadou, partito alla conquista della “sua” Europa dal Senegal, in giacca e cravatta e neppure da una propria situazione di povertà, per scoprire quante cose non sapeva lui. Quante bugie gli hanno raccontato, e si è raccontato, anche, con un’ingenua bramosia di una vita migliore, solleticata da elementi della sua famiglia, attivi a sua insaputa nel racket dell’emigrazione irregolare. Ma il suo racconto serve anche per riflettere su quante cose non sappiamo noi. Perché spesso ad essere sbagliate sono le domande che ci facciamo o l’errore è che alcune non ci vengano in mente.

Domani alle 18 alla Libreria Lovat, a Trieste, il mediatore linguistico culturale Amadou Kane e il giornalista Giulio Garau con Gianfranco Schiavone presenteranno il libro “Il sogno fasullo. Memorie di un raffinato migrante senegalese in Italia” (Infinito edizioni, 2016), con la prefazione di Paolo Rumiz e l’introduzione di Diego Marani. Il libro, attraverso una scrittura agile e una sequenza intensa di immagini, incontri ed eventi, riassume il percorso di Amadou Kane dall’infanzia a Dakar alle sue peripezie da clandestino in Europa sino quella che dovrebbe essere una raggiunta integrazione in Italia, ma è la voglia, soprattutto, invece, di ritornare a casa.

Al di là delle digressioni dell’intreccio, il racconto parte dal giorno della sua nascita, nel ’66, in un Senegal che solo di recente, all’epoca, ha proclamato l’indipendenza e in cui il governo, proprio in quella settimana di maggio, ha deciso di cambiare il colore delle divise della Gendarmerie dal kaki al blu. Paese complesso il Senegal per chi lo scopre dall’esterno, famigliare comunque per chi ne conosce i contrasti, tra caste e altri parametri rispetto ai nostri di ricchezza e povertà, di prestigio, onore e disonore. Amadou in Italia attraversa, supera, schiva, giudica molti di quelli che ormai percepiamo persino come stereotipi, per assuefazione, svela altre ombre e luci, tra percorsi obbligati, scelte, responsabilità, cedimenti e fortune. Però il racconto di Amadou finisce anche con l’essere uno specchio, e non solo per ciò che noi possiamo inventarci del Senegal, o non saperne, e l’illusione di un’Europa che non esiste. Dal libro traspare anche un concetto di individualismo, che, da qualsiasi latitudine e longitudine proveniamo, può farci sentire “diversi”, speciali per noi stessi, con il timore di contaminarci e perderci, e al contempo alla ricerca nelle cose, abitudini, luoghi e persone, di una sensazione di contatto e familiarità. Può farci guardare dall’alto in basso gli altri, anche inconsapevolmente o autogiustificandoci, pure se non ci piace venga fatto nei nostri confronti. Ci fa provare sensazioni di spaesamento anche tra coloro che dovremmo o potremmo percepire come simili, ci fa temere aggressioni a personali confini inviolabili anche in cose che ad altri potrebbero apparire come banalità.

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