Il post punk degli anni ’80 dal Great Complotto a D’Eliso al Parco Lambro

la recensione
C’è stato un momento, all’inizio degli anni Ottanta, in cui l’Italia musicale si è trovata in sintonia con quanto stava avvenendo nel resto del mondo, con una scena post-punk o new wave, definizioni che indicavano l’evoluzione dai tre accordi di base verso suoni inediti e sperimentali: alle chitarre si accostavano a volte tastiere, sintetizzatori, fiati, archi, che aggiungevano arrangiamenti complessi e inediti, prendendo spunto dal suono di Joy Division, Pop Group, PiL, Bauhaus e Human League. Erano i Litfiba, Diaframma, Denovo, Decibel, Pankow, Jo Squillo Eletrix, Ivan Cattaneo, Gaznevada, Skiantos e tanti altri meno conosciuti, ma degni di (ri)scoperta. A mapparli, ci ha pensato Stefano Gilardino con “Shock antistatico – Il post-punk italiano 1979-1985” (Goodfellas, pagg 232, 18 euro), in cui racconta cos’è successo in quel quinquennio che ha lasciato in eredità band e dischi indimenticabili.
Nel lungo viaggio geografico/sonoro, il Friuli Venezia Giulia ha un ruolo affatto marginale. I riflettori di Gilardino, inevitabilmente, sono puntati sulla fondamentale esperienza del Great Complotto di Pordenone, da cui muovevano i primi passi artisti oggi affermati come Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti e Gianmaria Accusani dei Prozac+ e Sick Tamburo.
Dell’esperienza pordenonese si è letto spesso, non bisogna dimenticare però quanto accadeva a Udine con band come Detonazione e Mercenary God. E nel capoluogo giuliano: «Potrebbe sembrare strano eppure, per introdurre questa storia triestina, - scrive Gilardino - ci tocca andare fino a Milano, nel 1976 al Parco Lambro, per l’esattezza. Ovvero, quando si svolge l’ultimo festival del proletariato giovanile promosso da “Re Nudo”, quello dei saccheggi, delle risse, dell’eroina, della fine del sogno politico degli anni Settanta e del terrorismo al suo apice o quasi. Confuso tra autentici big di quegli anni come Eugenio Finardi, Area, Don Cherry, Gianfranco Manfredi e Ricky Gianco c’è anche un giovane cantautore di Trieste, Gino D’Eliso. Il suo apice lo raggiungerà nel ’79, con “Santi e eroi”, a cui partecipano anche Eugenio Finardi e Walter Calloni, prima di giustificare la sua inclusione in questo libro con la produzione dell’unico disco dei concittadini Revolver, quintetto punk wave che si muove tra il glam dei Roxy Music e atmosfere più moderne».
Più affine al materiale trattato è il progetto successivo del tastierista dei Revolver Alessandro Corda (con Piero Pieri e Rrok Prennushi), i Luc Orient. Nel 1981 il trio firma per la Mitteleurock, distribuita da Cgd. «Siamo dalle parti di un synth-pop in linea con le produzioni britanniche dell’epoca o dei tardi Gaznevada – si legge – quasi al limite con quella che diventerà a breve italo-disco. I Luc Orient faranno in tempo a incidere anche un intero album, ancora con D’Eliso in cabina di regia, in cui trovano spazio tutte le loro influenze, dall’elettronica al pop fino alla new wave». Per ascoltarlo, però, bisognerà aspettare la reunion del 2015.
Una piccola curiosità, ma di quelle che valgono per davvero, dedicata a Flavio Paulin (non tutti sanno sia nato a Trieste), noto per essere uno dei membri fondatori (nonché bassista e cantante in falsetto) dei Cugini di Campagna. «Che cosa può c’entrare quindi Paulin con la storia della new wave e del post-punk? La spiegazione sta nel suo disco solista, “Paulin”, del 1979, pubblicato dalla Rca, un lavoro totalmente (e inspiegabilmente) devoto ai Kraftwerk». Un piccolo gioiello praticamente sconosciuto. —
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