Il sogno americano di Moravia, in bilico tra società reazionaria e all’avanguardia

Oggi, all'epoca della globalizzazione, può essere difficile immaginare un Paese culturalmente isolato dal resto del mondo. Eppure durante il ventennio fascista in Italia le cose stavano così (o almeno il potere lo voleva). E tradurre gli scrittori americani rappresentava un’azione azzardata e rischiosa, ai limiti della legalità, poiché gli Stati Uniti erano considerati un “nemico” da tutti i punti di vista: mentre da noi imperversava la dittatura, l'America continuava a essere vista come la patria della democrazia.
Perciò diversi scrittori nostrani si infatuarono del mito americano. Per esempio Elio Vittorini, che nel 1941 allestì per Bompiani un'antologia di racconti di scrittori statunitensi intitolata "Americana" (1941). Oppure Cesare Pavese, che traduceva grandi classici della letteratura anglo-americana, tra cui "Moby Dick" di Melville. Peccato però che né Pavese né Vittorini riusciranno a coronare il sogno, a lungo coltivato, di compiere un viaggio oltreoceano.
Chi invece ci andò, e più volte, è Alberto Moravia, i cui reportage americani sono stati ora raccolti da Alessandra Grandelis nel volume "L'America degli estremi" (Bompiani, pp. 380, euro 22). «Pochi paesi al mondo destano nell’animo del viaggiatore reazioni così vive e talvolta così ostili come gli Stati Uniti»: parola dell'autore degli "Indifferenti". Anche Moravia aveva sognato l’America fin da bambino, ma poi ci va davvero: nel 1935-1936, nel 1955, nel 1968 e nel 1969, e poi più volte negli anni '70 e '80.
In ogni nuovo viaggio - dal primo, realizzato per sfuggire al clima soffocante della dittatura, che aveva disposto il sequestro del suo secondo romanzo, "Le ambizioni sbagliate" - l’America gli appare come il Paese del futuro e delle insanabili contraddizioni: la definisce, appunto, «la terra degli estremi», tra la ricchezza e la miseria, la libertà e le sue distorsioni, molto più evidenti che nel Vecchio continente.
Alessandra Grandelis, la ricercatrice all'Università di Padova che ha sapientemente curato questo volume, vi ha raccolto documenti dispersi, mappe e diari di viaggio che ricostruiscono gli spostamenti dello scrittore, e anche un inedito, un dattiloscritto riferito al viaggio compiuto nel '55 dal titolo "Riflessioni sulle donne americane": un testo in cui Moravia mostra di apprezzare un'emancipazione femminile che in Italia allora era ancora di là da venire.
Sempre negli articoli scritti in quel viaggio l'autore ha modo di riflettere sul sistema economico e sociale americano e sulla paradossale vicinanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica nella comune tendenza a razionalizzare ogni aspetto dell'esistenza. Da intellettuale comunista militante (per questo per un certo numero di anni gli era stato negato il visto di ingresso negli Usa), ammira ma al tempo stesso condanna la realtà statunitense, sempre all’avanguardia e sempre reazionaria. Dall’America rooseveltiana e post-maccartista si giunge, nei viaggi successivi, a quella della rivolta sessantottesca e della conquista spaziale.
Testi di grande interesse e di grande attualità. Spiega la curatrice del volume: «In un momento storico in cui il razzismo e gli scontri politici si riaccendono e il ruolo degli Stati Uniti come modello culturale è messo in discussione a livello mondiale, le parole di Moravia mostrano tutta la loro potenza rivelatrice e tutto l’acume di un intellettuale libero da pregiudizi». —
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