Il tifo da stadio? È nato nelle baraccopoli inglesi dell’800

Domani a Spilimbergo la presentazione del volume di Mauro Bonvicini che si basa su un’ampia bibliografia in lingua straniera



Per cercare l’origine degli hooligans bisogna tornare alla fine dell’Ottocento e avventurarsi tra le tra le ciminiere di Manchester o tra gli slums, le baraccopoli di Glasgow. È qui che il grande stravolgimento urbano e sociale causato dalla rivoluzione industriale, lo sradicamento degli immigrati e la loro necessità di costituire nuovi gruppi identitari, diede origine alle condizioni per la nascita di quelle che diventeranno le frange più estreme del tifo da stadio. Quelle che vivono il rapporto con la propria squadra come una appartenenza totale, una mentalità che si esprime attraverso codici, riti e simboli e per la quale la propria squadra può anche perdere sul campo, ma il tifoso deve vincere la partita che si gioca fuori dal prato, surclassando i tifosi rivali con i cori e le coreografie.

Mauro Bonvicini, nato a Spilimbergo nel 1980, laureato in Scienze diplomatiche con una tesi sul movimento ultras italiano e appassionato conoscitore del mondo britannico, ha da poco pubblicato quello che è il primo saggio apparso in Italia sulla nascita del tifo organizzato, ‘Irregolari. Sottoculture di strada e di stadio tra Europa e Nord America 1870-1914’ (Eclettica, pagg. 256, 20 euro), che sarà presentato domani a Spilimbergo all’Osteria al Buso alle 17.30.

Frutto di un lavoro durato oltre un anno e fondato su una vasta bibliografia in lingua straniera, il saggio prende avvio dall’analisi delle condizioni di vita della Glasgow degli ultimi decenni dell’800, una città che in cento anni crebbe in modo vertiginoso, dai 100 mila abitanti del 1800 al milione del 1914 e dove la presenza dei middens, una sorta di discariche comuni aperte e poste a ridosso degli edifici brulicanti di gente che viveva in precarie condizioni igieniche, non faceva che rendere ulteriormente insalubre l'ambiente.

La gran massa di nuovi inurbati, tra loro i molti che avevano lasciato l’Irlanda per trovare lavoro nei cantieri sul Clyde, era alla ricerca di nuove forme aggregative che, almeno da un punto di vista simbolico, fossero in grado di ricreare i legami perduti. È all’interno di questo quadro dominato dalle inquietudini di una working class che cominciava a prendere coscienza di sé che, quasi contemporaneamente, a cavallo tra Ottocento e Novecento, una serie di fermenti attraversano l’Europa e gli Stati Uniti, trovando la propria declinazione in stili giovanili che rappresentano una risposta spontanea ai cambiamenti sociali in atto in gran parte dei Paesi a vocazione industriale. Il calcio in Gran Bretagna e il baseball negli Stati Uniti, sport popolari in grande ascesa, sono i catalizzatori perfetti, in grado di offrire un ampio immaginario a chi è alla ricerca di una nuova identità. L’esuberanza dei giovani, che per la prima volta nella storia emergono come categoria a sé stante, il loro voler fare gruppo e la loro critica alla società, si esprimono con moti di ribellione che divampano un po’ dappertutto in quegli anni. La risposta della società, nota Bonvicini, quando si trova di fronte a fenomeni così diversi dal mainstream, è la stessa allora come oggi, scandalo e repressione. E se non c’è il calcio a catalizzare questo desiderio identitario, sopravviene l’estetica. Gli Apache di Parigi per esempio, la ‘jeunesse irregulaire’, i dandy del popolo, vanno in giro a menar le mani con un loro dress code rigidissimo, che prevede di calzare delle scarpe gialle con fibbie che luccicano di notte. Tutto questo fermento giovanile brucerà nel calderone della prima guerra mondiale, per riformarsi intorno alla metà degli anni ’50 quando assumerà una connotazione politica grazie al fondamentale contributo italiano, con la nascita della sottocultura ultras. Mescolando ambiti differenziati, come la contrapposizione coreografica tra tifoserie e il richiamo ideologico, gli ultras danno vita a un tipo nuovo di tifoso organizzato, il cui modello è stato recepito all’estero e ha ancora fortuna in Germania, Spagna e Francia. —



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