Ilaria Tuti, da Gemona la detective acciaccata che scala le classifiche

L’autrice ospite a Venezia della kermesse su libri e lettura «Sto già scrivendo un nuovo giallo, uscirà il prossimo anno»

In testa alle classifiche di vendita in Italia, tra i maggiori successi alla Fiera del Libro di Francoforte 2017, “Fiori sopra l'inferno”, il thriller mozzafiato della scrittrice friulana Ilaria Tuti (Longanesi) in poco tempo è già diventato un best seller conteso in più di venti paesi.

Al centro un piccolo paese delle Alpi friulane, il cui paesaggio incantato viene improvvisamente sconvolto da una serie di efferati delitti. A risolvere il caso del “mostro di Travenì” un commissario atipico, Teresa Battaglia: una sessantenne piena di acciacchi, riservata e scontrosa, ma capace di una profonda umanità. Ilaria Tuti, il “caso” letterario del momento, mercoledì sarà tra i protagonisti del Seminario di perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri organizzato a Venezia in collaborazione con Messaggerie Italiane e l’associazione Italiana Editori.

Quasi imperturbabile di fronte al grande successo della sua opera prima, la scrittrice si illumina quando parla di Jasmine, a cui ha dedicato il suo libro.

Chi è Jasmine?

«È una parte fondamentale di me – spiega sorridendo - è la mia bambina di appena un anno… è stata di grande ispirazione per questo romanzo, mi ha caricato dell'emotività necessaria per scriverlo, perché oltre a essere un giallo è un libro che tratta del rapporto tra genitori e figli».

I bambini in qualche modo sono il filo rosso della narrazione?

«Proprio così, il tema della genitorialità è centrale. Leggendo il libro lo si capisce, si può essere benissimo madre o padre anche senza avere dei figli. Teresa, la protagonista, non ha figli eppure ha un grande senso materno che esprime nel rapporto con i colleghi più giovani, ma anche nella grande empatia verso tutti gli esseri umani. Lei sente il dolore degli altri. Sentirà persino quello del “mostro”, ecco perché a un certo punto nel libro dirà, riferendosi ai delitti, che i mostri non esistono, perché lei riesce a vedere oltre, capisce che anche chi compie determinati gesti è stato un bambino nella cui infanzia qualcosa si è rotto. Insomma, riprendendo la citazione del poeta giapponese Kobayashi Issa, che apre il romanzo e da cui ho tratto il titolo, Teresa sotto i fiori riesce a vedere l’inferno».

È appassionata di criminologia?

«Certo. Prima di scrivere questo romanzo sono stata colpita da un articolo sui terrificanti esperimenti di deprivazione affettiva e sui loro effetti sui bambini. È ormai assodato che i serial killer si formano in una particolare età dell'uomo che si colloca tra la nascita e i sette anni: se in questo periodo, in cui si forma l’emotività, avviene un trauma (un abbandono, un abuso), questa emotività si spezza per sempre e il bambino crescerà privo di empatia con i problemi psichiatrici che lo porteranno ad atti violenti. Il romanzo parla anche di questo e della capacità di Teresa di capire fino in fondo anche chi dentro di sé ha l’inferno».

Come è nato questo personaggio?

«È stata una folgorazione, non l’ho studiato a tavolino, mi è apparsa curva su una scrivania con una miriade di foglietti incollati dappertutto dove appuntava la sua vita. Nei thriller siamo abituati a vedere delle donne sui 30 e 40 anni, risolte, energiche, vincenti. Teresa invece è una donna comunissima, non più giovane, con problemi di salute, contraddittoria, ma con una grandissima passione per il suo lavoro. Ho voluto indagare un'età della donna spesso dimenticata sia dalla letteratura che dal cinema: i 50-60 anni che sono una parte della vita molto interessante, in cui una donna ha maturato una grande esperienza e una sicurezza interna ed esterna consolidata, quindi ha molto da dare. Ho voluto descrivere una donna “fragile” e forte nel modo in cui affronta ogni giorno la vita. Insomma una donna come tante».

È un’antieroina?

«Teresa ha un passato doloroso alle spalle, un amore malato con un uomo che la picchiava. Da questo inferno è riuscita a uscire buttandosi con passione nel lavoro. Con questo personaggio volevo anche dare un messaggio in un periodo in cui purtroppo i fatti di cronaca parlano da soli sulle percentuali di donne oggetto di violenza. Volevo dire a tutte le donne che è possibile sganciarsi dalla violenza e continuare la propria vita in un modo o nell'altro, ogni donna può ricominciare in ogni momento la sua vita, come Teresa. La vera forza di una donna è così. Non è non spezzarsi mai, ma cadere e sapersi rialzare sempre».

Teresa Battaglia, perchè?

«Una delle donne che ammiro di più, amando molto la fotografia e in generale le arti visive (prima di scrivere dipingevo) è Letizia Battaglia, la più grande fotografa italiana. Quando ha iniziato a fare la fotoreporter nessuna donna lo faceva. Ha dovuto superare avversità e discriminazioni incredibili. Ha dovuto tirare fuori la grinta riuscendo però a mantenere la sua sensibilità. Ha sempre detto che la fotografia per lei è stata la sua salvezza perché ha trovato il centro di se stessa. In queste parole mi sono sempre rispecchiata. Così ho voluto chiamare il mio personaggio Battaglia in suo onore».

Teresa lavora in un ambiente ostile dove spesso è discriminata.

«Ho conosciuto anch’io le discriminazioni sul luogo di lavoro. Per una ditta privata mi occupo di gare e appalti nel settore delle manutenzioni di parchi macchine per la pubblica amministrazione, un settore prevalentemente maschile. Specie all'inizio quando vedevano che sia io che la mia titolare eravamo donne ci chiedevano se c'era un uomo con cui parlare, non pensavano fossimo all’altezza. Poi le cose si sono normalizzate. Teresa nel suo lavoro riesce a ribaltare alla fine questa situazione proprio grazie alle sue grandi risorse».

In cosa assomiglia a Teresa?

«Si dice che ognuno nel proprio silenzio affronti una battaglia. Ecco, l’interesse di Teresa per questa lotta interiore io la sento. In realtà Teresa assomiglia un po' a tutte le donne, è l'emblema della loro capacità di lottare, di rigenerarsi continuamente. Sono nata al 1976, quando in Friuli c'è stato il sisma avevo dieci giorni. Solo adesso che ho 40 anni e una bimba riesco a capire cosa abbia vissuto mia madre in quei momenti: la casa crollata, mia nonna che abitava a Gemona alta irraggiungibile per giorni, senza sapere se era viva o morta, i collegamenti interrotti, l’odore e il fumo che avvolgeva ogni cosa, dormire in macchina con me in fasce senza neppure riuscire a scaldarmi il latte… Lei ha affrontato da sola la sua battaglia e nel suo piccolo è stata straordinaria. Spesso abbiamo accanto donne straordinarie e non riusciamo a vederle».

Il paese di Travenì è inventato, però rispecchia la sua terra.

«Mi sono ispirata alla zona di Tarvisio che è un luogo che amo molto e dove spesso vado, mi sembrava perfetto per la storia. Ho cercato di descriverlo in modo molto sensoriale, non solo con le parole ma cercando di far sentire gli odori, i sapori, la neve, l'aria fredda, a volte umida, le ombre, le luci, i suoni della foresta. È stata una grandissima dichiarazione d'amore per la mia terra, per il Friuli, un amore che ho riscoperto in età adulta».

Sta già scrivendo un seguito?

«Ho iniziato a scrivere una nuova storia di Teresa Battaglia che uscirà il prossimo anno, ambientata sempre in Friuli, ma questa volta senza ghiaccio e neve. Parlerò di un qualcosa di un po’ diverso, di tematiche femminili di forte impatto empatico. Ho già un'idea per il titolo. La citazione in apertura si ispirerà a una preghiera di 2000 anni fa alla donna, l'Inno a Iside».

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