Ilaria Zanetti nel Don Giovanni: «Ho rinunciato alle stelle per coronare il sogno di essere Zerlina»

TRIESTE. Le repliche del Don Giovanni si concludono questo pomeriggio, e l'ultima rappresentazione alle 16 al Teatro Verdir è tinta di una sfumatura squisitamente nostrana. A farsi corteggiare dall'insidioso cavaliere spagnolo, vestendo i panni dell'ingenua contadinella Zerlina, sarà infatti il soprano Ilaria Zanetti, unica cantante triestina dei due ottimi cast che hanno portato in scena "il dissoluto punito" mozartiano.
Ilaria, cosa rappresenta per lei il Don Giovanni?
«È un'opera cui sono legatissima, emotivamente e umanamente. È stata la prima opera che ho visto in assoluto. La prima volta al Verdi, con mia mamma. E già questo potrebbe bastare. Ricordo che uscii dal teatro con la determinazione di una bambina che, felicissima, dice "da grande farò Zerlina"».
Insomma, è stato un vero amore a prima vista…
«Sì, e quello che accadde l'estate dopo ha poi dell'incredibile. Mi feci portare da mamma e papà a Salisburgo, sperando di poter assistere ad un'opera. Il giorno della gita davano proprio il Don Giovanni… ma ovviamente non c'erano più biglietti. Davanti al teatro c'era una fila di una cinquantina di persone con i cartelli "Ich suche eine Karte". Molto abbacchiata, mi intrufolai in teatro cercando gli uffici. Proprio in quel momento, entrò un elegante signore giapponese che voleva cambiare il biglietto per un altro giorno. Non si poteva, ribadirono gli impiegati: era tutto esaurito. Allora il signore mi vide, così piccoletta con le codine e la gonnellina un po' sfigata, e... mi regalò il biglietto! E così mi vidi gratis, in un palco centrale, il Don Giovanni in un'edizione straordinaria con cantanti meravigliosi».
A quanti anni ha iniziato a cantare?
«A cantare, praticamente subito, rompendo le scatole a tutta la famiglia. A cantare abbastanza seriamente a 5 anni quando decisi, da sola, di entrare nel coro di voci bianche dirette dal mitico maestro Fabio Nesbeda. Poi a 15 anni cominciai a prendere lezioni di canto e, neanche due anni dopo, entrai in Conservatorio».
Come ricorda i tempi del Tartini?
«Mi sono divertita come una matta… ne combinavamo di cotte e di crude anche agli insegnanti. Era molto dura, però, perché frequentavo contemporaneamente il Conservatorio e l'Università».
Infatti, dopo il diploma in canto si è laureata anche in Fisica.
«La passione per l'astronomia e la scienza in generale ce l'ho da quando son piccola. I miei sogni erano fare l'astronoma o la violinista. Ma il violino non l'ho mai nemmeno studiato (anche se me ne comprai uno vendendo le mie barbie nei mercatini che allestivo in estate). Molti si sorprendono per queste due passioni tanto diverse, ma penso che, d'altro canto, il cervello sia un po' come lo stomaco: deve essere soddisfatto con cibi di vari gusti».
Perché a quel punto non ha deciso di intraprendere la carriera scientifica, optando invece per la musica, mestiere che implica quasi necessariamente una caratteristica di assoluta precarietà?
«La carriera scientifica è forse ancora più precaria di quella artistica, purtroppo. La scienza e l'arte in questo paese non sono tenute in gran considerazione. Gli scienziati sono visti come il male assoluto e gli artisti come degli scansafatiche. Penso che sia tutto molto triste».
Quali sono le difficoltà pratiche che deve affrontare ogni giorno in questo mestiere?
«Le difficoltà più grosse sono di due tipi. Quelle dovute al reperimento delle audizioni, specie nei momenti in cui ti trovi senza un'agenzia che te le procuri e quelle interne, motivazionali: a volte ci limitiamo da soli, perché magari siamo i primi a non credere in noi stessi. In entrambi i casi si fa una fatica tremenda».
A chi dedica questo suo ultimo successo?
«A mia mamma e mio papà, che non ci sono più».
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