Isabel a Trieste convertì il marito Burton e per gratitudine aiutò le “povere orfanelle”

la storia
Una lapide con una frase sibillina è il personale, indelebile segno con cui la pia Isabel, moglie del leggendario esploratore e traduttore del “Kamasutra”, Richard Burton, ha voluto marcare la sua permanenza a Trieste. È una lapide in marmo che si trova all'interno della chiesetta di S. Giuseppe in via dell'Istria 61, nella prima cappella a destra e che riporta la scritta: “DONO DI RICHARD E ISABEL BURTON – 20 OTTOBRE 1890 – QUI HO PREGATO – QUI HO OTTENUTO”.
Ma qual era il dono dei Burton? Per cosa ha pregato la bigotta moglie dell'avventuroso capitano e cosa ha ottenuto? Si possono fare ipotesi a partire dalla data, che coincide con la morte di Richard F. Burton, avvenuta a Trieste nella Villa Gossleth. Nella biografia “The Life of Captain Sir Richard F. Burton” scritta da Isabel Burton (1831-1896) c'è un accenno a un “tablet” ovvero a un'iscrizione “nella cappella dove erano state dette le messe”, la frase segue il ricordo di un'altra lapide che Isabel avrebbe affisso nella stanza del defunto, oggi scomparsa a seguito della trasformazione dell'edificio in Villa Economo. Di fatto queste due lapidi non risultano essere menzionate o fotografate altrove e non appaiono in nessun biografia.
A Trieste Burton arrivò nel 1872 in qualità di console generale di Sua Maestà Britannica. Lo accompagnava come sempre la moglie, Isabel Arundell. Nessuno comprese mai la natura di quello strano matrimonio tra l'eretico sessuologo e la cattolicissima Isabel. Da quando lei aveva incontrato quell'affascinante capitano dall'aria luciferina a Boulogne sur Mer, s'era posta la missione di sposarlo e convertirlo al cattolicesimo. A Trieste Isabel si dedicò a molte opere pie, in particolare a favore delle piccole orfanelle della “Casa della fanciulla” costituita nel 1877 da Padre Michelangelo da Rionero all'Orfanotrofio di San Giuseppe in via dell'Istria (allora al civico 97).
Il grande cruccio di Isabel era però come riuscire a salvare l'anima del marito, che di certo era nera come la pece. Come noto, dopo la morte di Richard, Isabel ne bruciò tutte le carte, in modo da essere l'unica a poterne raccontare la storia. Stando al suo resoconto, il marito fu colpito da infarto subito dopo aver terminato la traduzione del “Giardino Profumato”, un testo arabo sull'erotismo anche omosessuale. Isabel racconta che sul letto di morte Richard si convertì e lei riuscì in modo rocambolesco a fargli dare l'estrema unzione con la complicità del medico e d'un ignaro prete di campagna. Fatto il primo passo, strappò la salma alla chiesa evangelica che la reclamava per il locale cimitero e riservò al marito un cattolicissimo funerale nella Chiesa della Beata Vergine del Soccorso. In quell'occasione le voci bianche delle orfanelle intonarono il “Dies ira, dies illa”. Seguirono tre messe cantate, una alla chiesa dei Cappuccini, una nella loro parrocchia e una all'Orfanotrofio di San Giuseppe. Infine il 20 febbraio 1891 Isabel partì per l'Inghilterra con la salma imbalsamata del marito al seguito. Lo avrebbe seppellito in una tomba a forma di tenda dei beduini appositamente costruita nel cimitero cattolico di Mortlake. Però, prima di dire per sempre addio a Trieste, Isabel volle lasciare un segno di gratitudine per aver ottenuto ciò che voleva: la conversione di un pagano. Nelle memorie racconta che, prima di partire, devolse oggetti da Villa Gossleth e fondi per l'arredamento dell'Orfanotrofio, e che salpò per l'Inghilterra con solo una manciata di sterline in tasca. A darle un ultimo saluto, alla stazione c'erano le grate orfanelle di S. Giuseppe.
Ora il “tablet” a cui fa cenno Isabel, che è certo la lapide nella chiesa di S. Giuseppe, parla di un dono, può essere la sola attestazione della grazia ricevuta? O dietro c'è qualcosa di più consistente? Ricerche effettuate all'Archivio di Stato di Trieste permettono di risalire alla storia dell'Opera Pia San Giuseppe, fondata il 14 giugno del 1879 e che nel 1884, “grazie all'aiuto di una generosa signora”, potè acquistare spazi più ampi per ospitare un sempre crescente numero di “povere orfanelle”. L'acquisto della casa e terreni per la somma di 18.500 fiorini avvenne il 25 febbraio 1888. Il nome della benefattrice resta ignoto, come pure quello della “pia persona che vuol serbare l'incognito” che, come risulta dalle carte conservate nell'Archivio Diocesano di Trieste, finanziò i 10.000 fiorini necessari all'acquisto del prezioso organo a una tastiera, collocato in cantoria sopra l'ingresso principale della chiesa di S. Giuseppe e che, seppur bisognoso di un restauro, ha oggi un valore di ca. 70.000 euro. La chiesa fu benedetta il 19 aprile del 1890 come parte integrante dell'Opera Pia Orfanotrofio femminile S. Giuseppe. Chiusa per anni, dopo diversi passaggi di proprietà, dal 1993 è stata de-pubblicizzata e spogliata degli originali arredi sacri. Oggi è usata dalla Comunità di S. Egidio per la messa della domenica alle 17.30 e per le preghiere del giovedì alle 19. È notizia del 22 novembre che la Regione ha deciso di cedere all'Ospedale Materno Infantile “Burlo Garofolo” i tre edifici dell'Opera S. Giuseppe (superficie tot. 3500 mq) per realizzare entro la fine del prossimo anno nuovi padiglioni e ambulatori. Quale sarà il futuro della chiesetta, della lapide fatta affiggere dalla devota Isabel Burton e finora rimasta ignota e, soprattutto, che ne sarà del suo prezioso organo? —
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