Joyce Lussu, scrittrice che rifiutò di essere la moglie del ministro

TRIESTE. Partigiana, scrittrice, traduttrice dei grandi poeti rivoluzionari, moglie devota e innamoratissima: ha tante sfaccettature la grande personalità di Joyce Lussu, consorte di Emilio Lussu, figura carismatica e ancora poco conosciuta, una donna che per tutta la vita affermò un'identità forte e libera. La racconta al Trieste Film Festival il documentario "La mia casa e i miei coinquilini (Il lungo viaggio di Joyce Lussu)" di Marcella Piccinini, già scenografa e costumista per i film di Marco Bellocchio, in programma questa sera alle 20 al Teatro Miela per il Premio Corso Salani.
Joyce Lussu è morta nel 1998 a 86 anni, dopo una vita densissima e avventurosa: fu protagonista della lotta partigiana, poi a fianco del marito ministro nel dopoguerra, e in viaggio costante sulle tracce dei poeti rivoluzionari, in particolare l'amato Nazim Hikmet.
Il film inizia con un'intervista che Marco Bellocchio le fece nel 1994, e prosegue ripercorrendone la vita attraverso le stesse parole della scrittrice interpretate dalla voce di Maya Sansa.
«Maya è una grandissima attrice, e in più da ragazzina aveva conosciuto Joyce Lussu in un incontro a scuola», racconta la regista, che ha anche coinvolto nel progetto il figlio di Joyce, Giovanni, e la nuora Paola. «I testi vengono dai libri della Lussu: avevo fatto molte interviste su di lei ma mi sembrava che non rispecchiassero la stessa atmosfera».
Il titolo riprende la filosofia che ha fatto da leitmotiv a tutta la sua esistenza: i suoi genitori, racconta la Lussu, le avevano insegnato che la sua casa non era solo il pezzetto di terra in cui viveva, ma l'intero pianeta, che esplorerà in lungo e in largo, dal Kurdistan alla Turchia e fino in Africa, spesso sulle tracce degli autori che traduceva. Ma il documentario è anche il racconto dell'appassionato rapporto con Emilio Lussu, «un amore profondo e totale, una cosa tanto perfetta che mi riempiva di una felicità assoluta», lo descrive la stessa Joyce. Fu lei a convincerlo che anche un rivoluzionario militante poteva avere una famiglia: i due si sposarono durante la guerra e vissero in clandestinità a Parigi nel Quartiere Latino, cambiando appartamento spessissimo inseguiti dall'Ovra, portandosi sempre dietro i libri e la macchina da scrivere.
Il 6 giugno 1944 nasce il figlio Giovanni. I due erano una coppia moderna perché basata sull'assoluta parità, tanto che lei rifiuta di essere solo "la consorte del ministro" quando Lussu entra nel governo De Gasperi e si trasferisce in Sardegna col figlio. «Nel film volevo mostrare che la conquista della sua individualità è sempre molto chiara: prima era partigiana, dopo la guerra poteva adeguarsi a una vita più tranquilla, più borghese nei salotti romani, invece ha continuato nella ricerca della sua identità, nello studiare i poeti rivoluzionari per trovare qualcosa di sé».
Joyce era una femminista ante litteram, ma non ha mai rinunciato alla sua femminilità quasi nel senso tradizionale del termine: a Parigi, racconta il film, ricreava il senso di famiglia cucendo tendine e cuscini. Eppure in un certo senso ha combattuto fino all'ultimo: «Non ricercava una poesia accademica ma che arrivasse direttamente ai sentimenti e che esprimesse una lotta. Oltre a Hikmet ha tradotto poeti curdi, africani rivivendo le loro situazioni».
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