Kadarè: «Mai più comunista»

UDINE. Profondamente innamorato del suo Paese, perché «l’Albania è e resta un popolo di sognatori», e della letteratura, «capace qualche volta di esprimere un proprio punto di vista e di smascherare i falsi miti della storia». Lo è il poeta e romanziere Ismail Kadarè, Premio internazionale Nonino 2018, che oggi gli sarà consegnato nella festosa cerimonia a Ronchi di Percoto (dalle 11), nella sede storica dei celebri distillatori friulani che da quarantatre anni promuovono l’ambito riconoscimento. Accanto a lui, anche gli altri premiati: il gruppo P(our) - Premio Nonino Risit d’Aur -, sodalizio di sette giovani professionisti bartender che hanno lanciato un progetto sostenibile “Amazzonia” per salvare l’Ajè negro, salsa a base di manioca patrimonio millenario delle tribù indigene, e il Premio Nonino a un Maestro del nostro tempo, il filosofo Giorgio Agamben. «Come europei, in particolare – afferma il filosofo – non possiamo che guardare al nostro passato per tentare di comprendere il presente». E, commentando il premio, aggiunge: «Sono diffidente di tutti i riconoscimenti, ma di questo no. Per l’altissima qualità della giuria e perché si lega all’antica civiltà contadina». Autore di un vasto corpus di opere (la maggior parte tradotte in italiano per La Nave di Teseo), più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura, Kadarè, poeta di fama mondiale e cantore del Paese delle aquile, in Francia dal 1990, confessa che l’Albania attuale è «un Paese caotico, un po’ anarchico. È democratico: forze di estrema destra e di estrema sinistra si confrontano con termini durissimi, ma poi i problemi sul terreno restano molti». Intellettuale pluripremiato, osannato, ma anche fortemente contestato, Kadarè ha diviso la comunità albanese locale anche nel caso di questo riconoscimento. «Certo – commenta –: da molti sono considerato un nemico del comunismo, da altri un nemico dell’Occidente». Non accetta, comunque, di poter essere stato un fiancheggiatore del regime comunista del suo Paese. «Si veda come ho descritto l’allora dittatore Enver Hoxha nel romanzo (“L’inverno della grande solitudine”, 1973) in cui lo rappresento: un personaggio in tutto e per tutto negativo». Sulle circostanze in cui, nel 1990, decise di lasciare l’Albania, l’autore non lascia spazio a dubbi. «Me ne sono andato – racconta - dopo la visita negli Usa del successore di Hoxha, Ramiz Alia, che aveva dato segnali di apertura. Rientrato nel Paese disse che gli Usa accoglievano l’Albania, “così com’era”. Mi trovavo a Parigi, compresi che non c’erano più speranze e chiesi asilo politico». Dell’Europa di oggi, dice «mi sembra naturale l’unione e giuste le aspirazioni dei popoli balcanici che ne sono stati esclusi». Oggi, Kadarè si definisce «contrario a ogni forma di dittatura comunista», ma anche fortemente critico del pensiero di Karl Marx. Di «come si creano le leggende e i miti nei rapporti tra dittatori e intellettuali» parla il saggio che Kadarè sta scrivendo. «Il tema – annuncia - è il rapporto tra il Premio Nobel Pasternak e il dittatore Stalin».
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