La babele linguistica di “Finnegans Wake” prese forma a Trieste

di ELISABETTA d’ERME
Esce in questi giorni negli Oscar Mondadori il quinto volume della traduzione “Qin progress” di “Finnegans Wake”, opera ultima e testamento spirituale di James Joyce: ovvero i capitoli I e II del Libro Terzo.
La trasposizione in italiano di questo libro intraducibile era stata iniziata nel 1982 da Luigi Schenoni e interrotta nel 2008 a causa della sua scomparsa. Tre anni fa Enrico Terrinoni e Fabio Pedone, forti delle loro abilità di traduttori e competenze (anglista il primo e italianista il secondo), hanno raccolto il testimone riproponendosi di portare a termine l'opera entro il 2019. Era, però, impensabile affrontare un'impresa del genere in solitaria e Terrinoni racconta che «l'idea è nata proprio perché abbiamo deciso di avventurarci insieme in questa selva oscura. Da soli si rischia di non tornare indietro!». Pedone ammette che il lavoro di questi anni su un oggetto letterario così “brainteasing” lo ha «senza dubbio reso più sensibile al potere nascosto nella (e della) lingua», ma ammette di aver anche «riso molto scavando nei meccanismi del Wake - e aggiunge -: Per il resto mi riconosco ancora allo specchio, e direi che non è poco».
Dunque, come Tamino e Pamina nel Flauto magico, alla fine della prova Enrico e Fabio non sono impazziti, ed i primi frutti del loro splendido lavoro si possono ora apprezzare nel volume, “James Joyce Finnegans Wake Libro Terzo, Capitoli 1 e 2” (Oscar Mondadori pagg. 347 euro 24) corredato da un'introduzione di Terrinoni, un saggio di Pedone e da 150 pagine di note di commento che spiegano il contenuto brano per brano, i significati di singole parole e le relative scelte di traduzione, o meglio (come sottolineano) di “straduzione” perché questo è un testo che - in un'altra lingua - può essere solo reinventato.
“Finnegans Wake” è un gioco linguistico - un rebus. Un'allegoria onirica della Caduta dell'uomo e della sua Rinascita, che prende spunto da una ballata su un muratore che cade da una scala, muore e risorge dopo esser stato per sbaglio bagnato di wisky. Tutti i protagonisti hanno ruoli multipli: Finnegan è anche H.C. Earwicker, l'uomo qualunque, o il promontorio di Howth Head a Dublino. Anna Livia Plurabelle (moglie di H.C.E. e simbolo del fiume Liffey che attraversa Dublino) è anche sua figlia, Issy. Gli altri personaggi sono i figli Shem il poeta (in cui si può riconoscere Joyce) e Shaun il postino: perenni avversari e rivali del padre nell'amore per la sorella/madre. Per risvegliarsi e riavviare il ciclico ricorso vichiano della storia, Finnegan/H.C.E. deve confrontarsi con l'eterno flusso delle storie dell'umanità.
“Finnegans Wake” è un testo che mette in discussione i canoni della scrittura. Abolito il plot narrativo, la grammatica e la sintassi, Joyce costringe il lettore a interagire con un idioma di sua invenzione: un anglo-irlandese contaminato da oltre 40 lingue diverse, fatto di giochi di parole, puns, calembours. L'elisione del tradizionale ordine temporale fa sì che tutte le epoche appaiano simultaneamente e che ogni parola alluda a una molteplicità di contenuti. Com'è possibile? Pedone suggerisce un esempio: «In "solve qui pu" c'è a) il livello enigmistico (invito a risolvere un enigma), b) la disperazione comica del non capire (sauve qui peut, "si salvi chi può") e c) il motto alchemico "solve et coagula"... Siamo veramente dentro un'alchimia del verbo. Nessuna lettura cancella l'altra, anzi la trasforma». La polisemia del testo germina dunque nuovi suoni e significati, una lingua apparentemente incomprensibile, che diventa viva e musicale se il testo è recitato.
I primi capitoli del Libro Terzo, ora tradotti per la prima volta in italiano, hanno per protagonista Shaun the postman, che della coppia di fratelli gemelli/coltelli è il più aggressivo e spaccone, e che nel corso della "narrazione" si trasformerà in vari personaggi non ultimo Don Giovanni, ma anche nella Formica in una divertentissima rivisitazione della favola esopica "La Cicala e la Formica" che nel linguaggio Wakeano diventa "The Ondt and the Gracehoper" ovvero "La Cigrala e la Fermica". Ed è proprio nelle divagazioni attorno a questa parabola che troviamo uno dei tanti riferimenti a Trieste nascosti in questo labirintico testo. Si tratta delle peregrinazioni della Cigrala, leggiamo nella traduzione di Terrinoni e Pedone:
«Si fece quattro passi in giro e quattro giri in passo e ancora un giringiro intero finché i cricketti che aveva in capo e leib zecche nelle chiomonadi gli fecero pensò di avere un pilettico di revolite. Le nevi di Giugno stava grandinando a tomi sulle sfiocchinate d'hegel, a millipedi e miriapedi, e un bigatto di turbinanti turnedi, i Boraburloni, scoppulciavano cappannelli e tube fino agli altetti e ruvesciavano l'astre delle barre, giocando a ragnowrock rignerekk, con un irritante, penetrante, sifonoptero spuk. Sheeee! Grool! Sheeee! Grool!».)
Evidenti i riferimenti al Revoltella (l'istituto dove Joyce insegnò) mentre i "Boraborayellers, blohablasting tegolhuts up to tetties and ruching sleets off the coppeehouses" sono i ben noti effetti delle raffiche di bora sui coppi dei tetti della nostra città. Già in “James Joyce. Gli anni di Bloom” (2004) John McCourt aveva evidenziato quanto il soggiorno di Joyce a "tarry easty", con la sua babele di lingue, abbia influito alla creazione del linguaggio Wakeano. Quanta Trieste si trova dunque nei "meandri linguistici" del Finnegans Wake? «Trieste è dappertutto, - ci assicura Terrinoni - da Tristano e Tristram, che sono ombre nel testo ma anche personaggi reali, al motto bruniano in “Tristitia Hilaris in Hilaritate Tristis” che poi si "traduce" nei due personaggi di Tristopher e Hilary, fino a risi e bisi trasfigurato in riceypeasy. Mi azzarderei a dire che nel Wake c'è più triestino che italiano e sono certo che i lettori triestini, anche quelli di lingua slovena, troveranno nell'originale molte tracce dei loro idiomi».
Al lettore Joyce chiede una devozione totale, tempo e concentrazione, voglia di giocare, di lasciarsi coinvolgere creativamente. «È un libro che va letto ad alta voce - consiglia Terrinoni - e presuppone una lettura di gruppo. È un'opera infinita, incompiuta, che solo il lettore può completare. Ognino riesce però a coglierne solo una parte a scapito del tutto, che è - e resta - materia oscura: impalpabile, diafana, ma pur sempre materia. E va fruito lentamente, qualche riga al giorno, dando peso a ogni sillaba; questo per tutta la vita». Fabio Pedone è più cauto: «Ognuno può contribuire a una “plus-lettura” del Wake tenendo conto dei sentieri già segnati dall'autore: l'insonnia ideale del lettore immaginato da Joyce per questo libro notturno è sempre una iperveglia».
Col suo spirito di libertà, “Finnegans Wake” va letto perché è la risposta alla "finebbra" delle ideologie del Ventesimo secolo, alle tenebre della ragione introdotte dalle dittature, dalle tirannie, dai totalitarismi e dai fascismi col loro univoco linguaggio mediatico, che Mister Germi Ciois evoca in diversi punti del libro nelle voci di trasmissioni radiofoniche o televisive (molto disturbate però da fruscii e scariche elettriche). Perché nel Wake siamo di fronte a un tentativo «di scardinare qualunque fissità del linguaggio». Un libro dunque «sommamente “antifascista”, un'opera comica, non solo aperta, ma infinita».
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