La banale ordinarietà delle assassine di Charlie

Sono trascorsi pochi giorni fa i 50 anni esatti dai massacri della setta guidata da Charles Manson, Bel Air in testa e una scia di sangue a seguire. Se tali crimini fan da sfondo a uno dei film più attesi dell’anno, “C’era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino nelle sale dal 19 settembre, un cortocircuito sul calendario offre per la nostra città un’uscita anticipata, rispetto a quella regolare italiana del 22 agosto, di un’altra opera sul tema: è “Charlie says”, firmata dalla regista canadase Mary Harron, passato indie e autrice della controversa versione cinematografica di “American Psycho”.

Anche qui la sceneggiatura è modellata a partire da fonti letterarie: addirittura due. L’intento della Harron e della sceneggiatrice Guinevere Turner (L-Word), e pare esser questo il pregio più rilevante del film, è il voler raccontare l’altro lato della medaglia offrendo una prospettiva nuova e mai calcata sinora: guardare cioè alle esecutrici materiali dei crimini lasciando per una volta da parte il carismatico leader. Anzi: scegliendo di mostrarlo in un ruolo depotenziato e assai poco carismatico di musicista frustrato (in più, lo spettatore ha qualche problema trovandosi di fronte Matt “Doctor Who” Smith). Il passo successivo è ancora più complesso. È confortante pensare alle ragazze di Manson come dei mostri: diverse, anomale rispetto alla normale esperienza umana. In realtà, la cosa più disturbante è la loro ordinarietà, e a questa Harron e Turner vogliono rivolgersi.

Bloccate nel braccio della morte a tempo indeterminato, Leslie Van Houten, Patricia Krenwinkel e Susan Atkins sono le tre “pazze di Manson”. Se il processo si chiude nel ’71 con la condanna a morte dei componenti della “Family”, l’anno seguente lo Stato della California abolirà la pena capitale, con la conseguente riduzione a ergastolo per i responsabili. La sceneggiatura è costruita quindi attraverso flashback fluidi e armoniosi a vagare dalle sbarre del carcere al ranch nel deserto della comune. L’enigma di capire come le tre siano improvvisamente “saltate su un pullman e mai più guardate indietro” si rivelerà un affare complesso - ed è questo l’aspetto involuto del film - anche per la sensibile terapeuta che le accompagnerà nella lenta presa di coscienza. Una stella in meno anche per il finale, di una banalità inaudita. —

F.GRE.

Charlie says di Mary Harron

con Matt Smith, Hannah Murray, Sosie Bacon, Marianne Rendón

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