La band musulmana e l’irachena Ayub: ecco i vincitori del Trieste Film Festival

TRIESTE Quella bizzarra band di ragazze che cantavano canzoni musulmane in inglese l'aveva scoperta in rete, stupendosi del nutrito seguito di cui godevano. L'idea di girare un documentario su di loro è andata buca, perché le tre, contattate, non hanno fatto avere risposta: così, ha deciso di realizzare una sua storia. Si chiama Kurdwin Ayub, è irachena classe 1990, e grazie a questa folgorazione oggi guida un podio di sole donne. All’unanimità: perché la giuria del Premio Trieste, domenica al Politeama Rossetti, è stata tutta per il suo "Sonne", incoronandolo miglior film del 34° Trieste Film Festival.
«Radici, religione e identità delle nuove generazioni figlie dei flussi migratori - hanno motivato i giurati - attraverso lo sguardo di tre giovani donne in cerca del loro posto nel mondo» sono al centro di questo lavoro dall'energia travolgente che si è portato a casa il massimo riconoscimento del valore di 5.000 euro. Su un tris femminile sono scorsi quindi i titoli di coda della 34° edizione del festival: edizione più che mai accesa sull'attualità e sui temi che attanagliano il presente, guerra in Ucraina e rotta balcanica percorsa dai migranti in testa, con la città divenuta per la prima volta focus privilegiato. "Trieste è bella di notte" di Andrea Segre presentata in anteprima assoluta è stata infatti tra le opere che hanno più polarizzato l'attenzione del pubblico insieme a Wild Roses, dedicato alle cineaste ucraine.
Grande afflusso per il sontuoso affresco de "Il boemo" ma anche per il dramma psicologico croato "Safe place", o "Black stone", il greco più votato dal pubblico; e, per tornare in tema musicale, sale piene per "Metronom" e ovviamente per "Souvenir d'Italie", il film omaggio a Lelio Luttazzi che ha chiuso la manifestazione. È stato un festival che ha saputo guardare con acume anche a un'offerta extra-cinematografica, tra passeggiate nei luoghi della Trieste della multiculturalità, concerti, mostre fotografiche, l'incursione sportiva deliziosa di Sergio Tavčar ma anche di mister Zdeněk Zeman, panel e un appuntamento su Fuori Orario di Rai 3 che è stato un vero omaggio al festival triestino.
«Per un'intera settimana - fa sapere l'organizzazione - abbiamo riempito la città con oltre 1000 ospiti internazionali provenienti da 37 nazioni, 100 studenti delle accademie di cinema provenienti dall'Italia e dai paesi delle nostre aree di interesse, 100 giornalisti e 1851 accrediti complessivi: quelli del festival più i professionali di When east meets west».
Impegnata col nuovo film, Kurdwin Ayub non ce l'ha fatta a raggiungere Trieste, inviando un videomessaggio di ringraziamento; al Rossetti sono arrivate invece Biserka Šuran, nata a Capodistria ma residente ad Amsterdam, e la croata Eva Vidan, i cui film hanno primeggiato come miglior documentario e miglior corto. «Una perla di cinema che descrive una famiglia di migranti nell'Europa di oggi», "Scenes with my father" diretto da Šuran che ha ritirato il Premio Alpe Adria Cinema al miglior documentario (euro 2.500), per questo viaggio sia geografico che mentale di un padre e una figlia nati in due sistemi politici diversi. «Delicatissimo racconto con gli occhi infantili di una società premoderna e femminile» è stato giudicato invece "Plima", Premio Fondazione Osiride Brovedani al miglior corto (euro 2.000).
Il pubblico è andato in direzioni diverse rispetto alle giurie decretando miglior lungo il greco "Black stone", miglior documentario il polacco "The Hamlet Syndrome" (ancora a tema Ucraina). Parità di voti invece nei corti, per cui nel gradimento degli spettatori si è affermato un ex aequo: il franco-ellenico "Not tomorrow" e l'albanese "Sheets".
Cineaste in vetta anche in altri due importanti riconoscimenti: il Premio Cei Central European Initiative (euro 3.000) è andato a "Love is not an orange" della moldava Otilia Babara, racconto del legame a distanza tra le tante moldave venute a lavorare all'ovest e i loro figli lontani. Unica italiana premiata, Sophie Chiarello per "Il cerchio", Premio Corso Salani (euro 2.000) per questo «progetto cinematografico a lungo termine che ha saputo mettere il suo sguardo all'altezza e al servizio dei giovanissimi protagonisti».
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