La battaglia di Cefalonia, sacrificio per una patria assente

Isola greca di Cefalonia, 8 settembre 1943: all'annuncio dell'armistizio il contingente militare italiano della divisione Acqui è sbandato, senza guida, e il suo comandante, il generale Antonio Gandin, indeciso sul comportamento da tenere coi nazisti. Tre le ipotesi: contro i tedeschi, assieme ai tedeschi, cessione delle armi. Si sceglie di dare battaglia. La lotta, durata sette giorni, è persa e i prigionieri, su cui grava l'accusa di tradimento, sono passati per le armi. Novemila in tutto, stando alla presidenza del Consiglio, intorno ai duemila secondo stime più attendibili. In ogni caso, un numero impressionante, come impressionante è la fredda metodicità degli esecutori nel decimare gli ex alleati trasformatisi in nemici. «Kaputt! Kaputt!» è il grido che accoglie gli italiani stipati nei baraccamenti in attesa della fucilazione.
È intorno a tale nucleo di eventi drammatici che si sviluppa il diario di uno dei trentasette superstiti dell'eccidio, il capitano Ermanno Bronzini, pubblicato con prefazione di Elena Aga Rossi, “La battaglia di Cefalonia. Diario di un reduce” (Il Mulino, pagg. 129, euro 12). Scritto a caldo, a guerra ancora in corso, il testo conserva i pregi e i difetti delle testimonianze oculari: parziale ma utile per l'ottica che propone e i dettagli che tramanda, suscettibili di essere sottoposti al vaglio di ulteriori fonti per avere una panoramica attendibile degli eventi. Di seguito, in sintesi, i fatti descritti in poco più di cento pagine: dubbi iniziali di Gandin sull'atteggiamento da adottare, tergiversazioni e lunghe trattative con la controparte in attesa che il quadro muti e di comunicazioni dall'alto che non arrivano, decisione di combattere, sconfitta dopo qualche parziale successo e uccisione quasi completa dei catturati, a esclusione dei soldati di provenienza alto-atesina, di coloro che possono comprovare la propria fede fascista e, infine, di un piccolo gruppo di candidati a morte certa, fra cui Bronzini, salvati dall'intercessione del cappellano militare don Romualdo Formato. Il libro risulta scorrevole, la prosa piana, sebbene non manchino concessioni alla retorica del periodo, e forte appare la volontà del diarista di rendere il giusto onore ai commilitoni falcidiati e, soprattutto, di salvare la memoria di Gandin.
Nel 2001 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi definisce l'episodio di Cefalonia come il primo atto della resistenza, portandolo all'attenzione generale. Di fronte allo sfarinamento delle istituzioni, allo svanire dei miraggi imperialistici, al crollo impietoso del fascismo, al venir meno del collante identitario rappresentato dalla corona, Cefalonia rimane il simbolo della capacità degli italiani di difendere la reputazione di una patria non per forza coincidente con la parte politica al potere, nonostante le reticenze o le manipolazioni coscienti o involontarie che lo studioso può – e deve – scovare nella narrazione a posteriori di chi ne fu protagonista. —
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