La battaglia di Opicina del 30 aprile 1945 Così partigiani e alleati sbaragliarono i nazisti

Fino al 3 maggio la frazione carsica fu teatro di furiosi combattimenti, con fossi e pozzanghere pieni di cadaveri

Marina Rossi

Il 30 aprile 1945, a Opicina, iniziava una battaglia decisiva per la liberazione di Trieste, non meno importante dell’insurrezione scoppiata in città, diretta dal Cln giuliano, al comando del colonnello Fonda Savio, sostenuta dagli operai delle fabbriche triestine, organizzati nei gruppi di Unità Operaia. La località di Opicina subito dopo l’8 settembre 1943 era divenuta una postazione militare molto importante per l’occupatore germanico che la munì con imponenti opere di fortificazione: bunker, tunnel, caserme, sia per gli effettivi della Wehrmacht che per le truppe collaborazioniste di varia nazionalità.

Numerosi studi confermano che l’arrivo della IVª Armata jugoslava sul Carso triestino alla fine dell’aprile 1945 era parte della comune offensiva alleata tesa a spezzare la forza residua del Terzo Reich in base agli accordi stabiliti tra lo stato maggiore jugoslavo e quello del maresciallo Alexander. Con quella strategia le truppe jugoslave impiegate nella fascia litoranea dell’Adriatico orientale avrebbero agevolato agli angloamericani la conquista dell’Italia settentrionale.

La forza d’urto principale, la XXª divisione dalmata rafforzata da tre divisioni di carristi e da due gruppi d’artiglieria motorizzata puntò direttamente sulla città. Alla fine d’aprile anche il distaccamento di staffette dell’Istrski Odred (Brigata Istriana) riceveva l’ordine di avanzare verso Trieste.

Secondo una delle testimonianze recentemente recuperate, rientrato a Trebiciano il 28 aprile, un giovane partigiano, il quindicenne Livio trovò una situazione abbastanza tranquilla. Il 1° maggio 1945, sarebbe stato uno dei primi partigiani dell’Esercito Nazionale di Liberazione Jugoslavo a sfilare per il centro di Trieste. A Opicina, invece, distante da Trebiciano solo qualche chilometro, i combattimenti si sarebbero protratti fino al pomeriggio del 3 maggio. Vi presero parte le brigate dell’OF Kosovel, Gregorcič e Bazoviška e il battaglione russo con il sostegno della IVª armata dell’esercito nazionale popolare di liberazione jugoslavo. Alle 10.15 del 3 maggio a Opicina l’ultima resistenza tedesca si spegneva con l’arrivo di due carri e un’autoblinda neozelandesi provenienti da Trieste.

Alla liberazione di Opicina avevano contribuito unità dalmate, molti giovani del posto, oltre alle formazioni della brigata istriana.

La spartizione del mondo in due blocchi avrebbe impedito ai partigiani sovietici di entrare da vincitori a Trieste. Franc Čehovin, informatore dell’OF nelle file della Bazoviška brigada dall’agosto 1944 conferma le logiche britanniche riportando un inquietante episodio verificatosi durante la battaglia di Opicina: “Quando eravamo ormai convinti di aver sbaragliato i tedeschi a Prosecco, arrivarono quattro carri armati inglesi. Si erano fermati, perché il IX Korpus aveva minato le strade e ci hanno intimato di arrenderci e di esporre la bandiera bianca. Ma Anatolij Djačenko, comandante del battaglione russo, ed il comandante della brigata Basovizza hanno risposto: “Niet”. Gli inglesi sono rimasti lì per mezz’ora, poi si sono girati, dirigendosi a Trieste. Tra Opicina e Prosecco i combattimenti furono terribili; i fossi e le pozzanghere erano pieni di cadaveri. I conducenti dei carri armati in avanzata non si fermarono a raccogliere i morti e i feriti. Semplicemente li stritolavano. È capitato anche a dei giovani sovietici. Ma quell’ordine inglese era grave. Fino a quel momento eravamo stati amici, avevamo condiviso i giorni più difficili”. —



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