La Bonelli come la Marvel il fumetto italiano conquista cinema e tv

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È nata la “Marvel italiana”. La notizia del lancio in Italia della “Bonelli Entertainment”, “braccio produttivo” della casa editrice Sergio Bonelli, per sviluppare progetti cinetelevisivi basati sui propri personaggi, rappresenta un capitolo nuovo nella storia del cinema italiano. Il primo lavoro della “Bonelli Entertainment”, neanche a dirlo, sarà una serie tv horror live-action di deci episodi basata su Dylan Dog, il mitico “indagatore dell’incubo”, eroe bonelliano per eccellenza e uno degli eroi di carta più popolari di sempre in Italia. Inglese, poco più che trentenne, Dylan Dog vive nella Londra contemporanea e, come investigatore privato, accetta solo casi strani, soprannaturali e inquietanti. Le sue avventure hanno a che fare sia con zombi, mostri, fantasmi, vampiri, lupi mannari, che con un universo surreale e fantastico.

“Italian Comics Publisher Bonelli Moves Into Production” ha titolato a grandi caratteri la prestigiosa rivista newyorkese di cinema “Variety”. Osservando che la principale molla dell’operazione sta forse nell’ottimo stato di salute delle serie tv ideate in Italia, però internazionali come “Gomorra”, “Suburra”, “The Young Pope” e la prossima “Amica geniale”. Solo che stavolta a scendere in campo non sono la mafia, né il Papa, né un best-seller mondiale, ma è un fumetto, e la sfida può sembrare più azzardata (anche se Dylan Dog ha venduto 50 milioni di copie ed è distribuito in 30 Paesi). Tuttavia, per restare nel campo della creatività nazionale “disegnata”, ovvero nel cinema d’animazione, anche il cartoon all’italiana, raccogliendo l’eredità di Bruno Bozzetto e Pino Zac, sta ottenendo negli ultimi anni successi internazionali, dalle Winx di Straffi a “La gabbianella e il gatto” di D’Alò, da Geronimo Stilton a “Gatta cenerentola” di Alessandro Rak.



Va aggiunto che nel mondo il settore della nuova tv si regge anche sui personaggi dei fumetti. Netflix ad esempio può contare su Alias, Daredevil e Punisher della Marvel. Da quando nel 2009 la Disney ha comprato la Marvel, la storica casa editrice americana di Spiderman e degli Avengers, per la sua schiera di personaggi da utilizzare al cinema, ha costruito un mondo narrativo coerente che si è trasformato in una fonte di trionfi miliardari.



In attesa dei prodotti d’animazione (allo studio progetti dedicati a Martin Mystère, Mister No, Dampyr, Dragonero, Il Confine e Nathan Never) l’esordio della Bonelli Entertainment avverrà intanto con attori in carne e ossa ispirati ai fumetti. E aspettando di sapere chi sarà il volto di Dylan Dog sullo schermo, ricordiamo che l’intreccio tra gli eroi di carta e quelli di celluloide ha una lunga vicenda, spesso italiana, di film e serie. Un continuo dare e avere, quello fra fumetto e cinema, uno scambio fitto non solo di personaggi e storie, ma anche di linguaggi e tecniche espressive.

Già nel cinema muto era assai attivo il travaso di personaggi e racconti. Il primo caso fu forse quello di Happy Hooligan (Fortunello), indicato anche da molti come un modello per Charlot, che, ideato nel 1899, fu subito portato nel cinema in una serie della Edison. Ma è negli anni’30 che il connubio tra i due media diventa sistematico. In poco tempo Flash Gordon (nel 1936), Buck Rogers, Mandrake e Li’l Abner conquistano il grande schermo. E il trasferimento da subito non è unidirezionale: Dick Tracy assomiglia ad esempio a James Cagney. Il motivo di questa invasione è semplice: col sonoro si può finalmente dare una voce agli eroi delle strisce. E negli anni’30 riparte la produzione seriale Usa, e le serie riproducono la scansione a puntate dei fumetti e ne condividono il pubblico.



In seguito, fuori dagli Usa e prima della slavina Marvel, sono due i casi più significativi di incrocio tra i due linguaggi. La Francia, dove la Nouvelle vague rilancia la dignità culturale dei fumetti (come dei flipper) promuovendo Barbarella e Tin Tin. E l’Italia degli anni’60 con i suoi spaghetti-comics (analoghi ai western anche nel gusto della violenza) ispirati a Diabolik, Kriminal, Satanik. Col tempo, tutte le principali icone italiane delle strisce (tranne Corto Maltese, per il quale non si è mai voluto trovare un interprete) sono approdate al cinema, per la verità con scarsa fortuna. Si va da “Baba Yaga” (1973) con Valentina di Crepax (al centro anche della serie con Demetra Hampton dell’89) al “Tex e il signore degli abissi” (1985) con Giuliano Gemma. Per Dylan Dog, dopo la prova generale indiretta di “Dellamorte Dellamore” (1994) con Rupert Everett, tratto dal romanzo di Tiziano Sclavi, c’è stato il tentativo “indie” Made in Usa di “Dylan Dog – Il film” (2010) di Kevin Munroe, con Brandon Routh. Un tentativo però “stroncato”, come ricorda “Variety”, a cui ora la Bonelli vuole porre rimedio. Ma indipendentemente dal gradimento della prossima serie, siamo sicuri che Dylan Dog (i cui primi riferimenti arrivano proprio dal cinema, da Romero e i suoi zombi) continuerà ad appassionare cinefili e registi. Non a caso Dario Argento ha appena scritto una storia di Dylan Dog, tuffandosi nel mondo di Tiziano Sclavi. Che a sua volta da Argento era stato influenzato. —



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