La figlia di Roberta di Camerino si confessa: «Che fatica convivere col genio»

«Quanto era difficile convivere con questo genio. La vita lavorativa procedeva tra dispetti, disappunti, tragedie greche, momenti belli e divertenti. Così continuava, trovando talvolta un certo equilibrio, questa mia vita di Roberta con Giuliana, Giuliana chiamata Roberta. Ogni giorno c'era sempre qualcuno che preso dalla curiosità si interrogava sul perché e per come mi chiamavo Roberta e quanto fossi fortunata a portare un nome così famoso. E pensare che avevo un semplice “di” per distinguermi da Roberta di Camerino, io sono invece Roberta Camerino. Quanto avrei voluto ogni tanto gridare al mondo: “Sono io Roberta, Roberta di Camerino non è una persona fisica”».
In queste poche righe viene spiegato dalla stessa Roberta Camerino, figlia della stilista Giuliana Coen Camerino, il significato del libro “Schegge di R” (Marcianium Press, pagg. 136, euro 16,00), scritto a distanza di diversi anni dalla scomparsa di sua madre avvenuta nel 2010, proprio dalla figlia Roberta: una vita vissuta all'ombra di una genitrice famosa in tutto il mondo, una donna vulcanica, geniale, una vera monarca con i suoi collaboratori, compresa sua figlia Roberta, il cui nome era stato scelto da sua madre come marchio con l'aggiunta di una “di”. E non le sarebbe mai più appartenuto finché sua madre visse. Molti hanno già scritto di Roberta di Camerino, delle sue sfilate-spettacolo nell'isola della laguna di Venezia la Polveriera, che lei ammirava da ragazza e acquistò dai militari una volta diventata famosa, trasformandola nel suo quartier generale di stilista. Di lei oggi si ricordano i suoi abiti e i suoi colorati foulard e ombrelli, la iconica borsa Bagonghi, ispirata a un nano del circo e passata alla storia con uno scatto fotografico come la borsa della principessa Grace Kelly.
“Schegge di R” è invece un libro fatto di ricordi e sentimenti. È la storia di una figlia d'arte, una donna che cresce all'ombra di un genitore famoso, conosciuta solo come “la figlia di Giuliana Camerino”. Il racconto di una frustrazione da protagonismo materno vissuto talvolta come privazione di identità, sottolineando spesso la rabbia per un successo derivato da quella madre celebre, bella e popolare, che le aveva rubato il nome. L'introduzione è di Vittorio Sgarbi.
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