La grande invasione dei Big data siamo tutti schiavi degli algoritmi
Ogni sessanta secondi su Facebook vengono creati 3, 3 milioni di post, pubblicati 510 mila commenti e aggiornati 293 mila stati. Su Twitter vengono inviati 470 mila tweet e su Whatsapp gli utenti si scambiano 38 milioni di messaggi. Tutta questa smisurata nube carica di dati prodotti da macchine, persone e sensori che aleggia invisibile attorno a noi va sotto il nome di Big data. Al cospetto di questo gigante informe e onnisciente che agganciato al Gps del nostro smartphone vede tutto e può tutto, il Grande fratello di Orwell era un dilettante, un sempliciotto cugino di campagna. Quando usciamo da un negozio questo impiccione ci chiede subito: com’era, ti sei trovato bene, che ne pensi? Ma c’è di più: ogni volta che usiamo una connessione mobile lasciamo dietro di noi una traccia che i cosiddetti Big Five – i colossi del capitalismo immateriale, Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft, che ormai hanno fatturati che superano quelli di una nazione – elaborano tramite gli algoritmi creando nuovi modelli di comportamento. Il petrolio ha lasciato la palma di risorsa più preziosa al mondo ai megadati, ha scritto l’Economist, e questo primato apre problemi di accessibilità, diritti, democrazia.
Giunge quindi come una bussola per orientarsi in questo scenario nuovo e in continua evoluzione ’Big data’(Il Mulino, pagg.147, Euro 11,00). Ne sono autori Marco Delmastro, direttore del servizio economico-statistico dell’Agcom e Antonio Nicita, docente di Politica economica alla Sapienza, che è stato commissario Agcom dal 2014 fino a pochi mesi fa. I due autori non considerano i Big data come il Leviatano dei nostri tempi, ma analizzano le due facce di questo Giano, che da una parte ci offre più servizi e dall’altra ci sottrae qualche libertà. Il patto è implicito, per avere le migliori informazioni dal web anche noi dobbiamo rivelare le informazioni che ci riguardano. In questa nube elettronica galleggiano insieme produttori e consumatori, chi utilizza i dati ne produce a sua volta, modificando così il sistema.
Ma il lato della società digitale che presenta più incognite è quello del pluralismo. In tempi in cui il consenso politico si misura a colpi di like, l’accesso diretto alle informazioni non garantisce la democrazia, perché le risorse che vengono selezionate per noi dagli algoritmi possono essere distorte dagli stessi algoritmi e diventare uno strumento di propaganda politica. Bisogna allora costruire delle nuove norme, che non riguardano l’accesso alla piattaforma ma il superamento della selezione personalizzata dei contenuti. E a chi spetterà il compito di vigilare? Ovvio, a un algoritmo super partes. —
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