La grande Vienna ebraica e la “gioiosa apocalisse” spazzata via dalla Shoah

Riccardo Calimani firma un viaggio affascinante nella città, dalla Finis Austriae all’Anschluss La politica, l’economia, il diritto, ma soprattutto il mondo degli intellettuali e degli artisti 
In connection with the general elections taking place in Austria, propaganda was used by the various parties in the streets of Vienna. The picture shows a lorry adapted for propaganda purposes by the National Socialists promoting Hitler. The poster on the side refers to the Press which it states is in Jewish untruthful hands. This lorry passed through the most populated streets of Vienna. Date: 1934-1938
In connection with the general elections taking place in Austria, propaganda was used by the various parties in the streets of Vienna. The picture shows a lorry adapted for propaganda purposes by the National Socialists promoting Hitler. The poster on the side refers to the Press which it states is in Jewish untruthful hands. This lorry passed through the most populated streets of Vienna. Date: 1934-1938

la recensione



Giugno 1938, Sigmund Freud ha ottenuto il visto dall’Inghilterra e sta per lasciare Vienna, annessa al Reich con l’Anschluss del 13 marzo. I nazisti gli intimano di firmare una dichiarazione nella quale attesta “di essere stato trattato dalle autorità tedesche e in particolare dalla Gestapo con tutto il rispetto e la considerazione dovuti alla mia fama di scienziato” e altre belle frasi di gratitudine. Il padre della psicanalisi provato alla malattia e dall’età firma, ma aggiunge: “Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessia”. È la zampata dell’ebreo viennese che, anche in un momento drammatico, sa colpire con amara ironia. L’episodio si legge nel libro di Riccardo Calimani “La grande Vienna ebraica” (Bollati Boringhieri, 230 pagine, 13 euro). Calimani, ingegnere e filosofo della scienza, è un esperto di storia e cultura ebraica alle quali ha dedicato molte sue opere.

La fuga dalla capitale austriaca è l’ultimo doloroso atto della vicenda umana e culturale degli ebrei che avevano fatto di Vienna un laboratorio “di ricerca per la distruzione del mondo” come scrisse Karl Kraus, gigante della letteratura austriaca fondatore e redattore unico della rivista “Die Fackel” (“La Fiaccola) in cui non risparmia critiche feroci alla società austriaca. A lui non tocca l’esilio perché muore il 12 giugno 1936.

Gli anni del passaggio tra il 1800 e il 1900, quelli della Finis Austriae, della dissoluzione dell’impero multietcnico, sono quelli in cui Vienna “capitale della modernità” esprime una creatività eccezionale in tutti i campi. In politica c’è da una parte l’esperienza dall’austromarxismo di Victor Adler (pure lui ebreo) e della Vienna “rossa”, con lavoro, welfare e case popolari d’avanguardia che, nel ’34 arriverà a sperimentare la “Comune” repressa nel sangue. Dall’altra si fronteggiano due movimenti di destra: il Partito Cristiano Sociale, capeggiato del cancelliere Ignaz Seipel che risana l’economia, devastata dal costo dei danni di guerra e dall’iper-inflazione, e del successore Dolfuss assassinato dai nazisti; l’altra organizzazione è appunto quella hitleriana.

In economia si sviluppa la scuola di Vienna, così chiamata perché i suoi esponenti più conosciuti Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises (entrambi ebrei costretti a lasciare l’Austria), provenivano dall’Università della capitale. Questa scuola di pensiero a livello politico origina i movimenti libertari e, in maniera minore, liberisti. Tra questi, i cosiddetti “Chicago Boys” accesi sostenitori del libero mercato. I cui maggiori esponenti sono i premi Nobel Milton Friedman e George Stigler.

Sul versante del diritto, l’elaborazione filosofica e giuridica è formidabile. Un nome su tutti Hans Kelsen, il maggior teorico giuridico del ‘900 che ha influenzato le Costituzioni in vari Paesi, compreso il nostro. Pure lui venne costretto a lasciare Vienna.

Ma Calimani pone soprattutto l’accento sugli artisti, scrittori, pittori, filosofi e musicisti. I protagonisti della “gioiosa apocalisse”, ossimoro che l’autore mutua da Hermann Broch, tra i quali Wittgenstein, Bolzman, Mahler, Berg, Schönberg, von Webern, Wagner, Canetti, Musil, Roth, Kokoschka, Zweig, Klimt, Broch, Schnitzler, von Hofmannsthall, oltre a quelli sopra citati. In larghissima parte sono ebrei, assimilati in vario grado, fortemente attratti dalla cultura tedesca. Anche se lo vorrebbero, non possono ignorare l’antisemitismo che avvelena Vienna, l’impero e l’Europa: per Kraus esso sarà vinto con la “totale assimilazione” e la tentazione è forte anche per lo stesso Theodor Herzl, altero, snob, abile oratore, in gioventù filotedesco, tanto da ripudiare l’ungherese lingua del Paese in cui era nato. Folgorato dal caso Dreyfuss, l’ufficiale ebreo francese condannato ingiustamente per spionaggio, capisce che gli ebrei saranno “eterni stranieri”. E, sulle orme dei nazionalismi europei, crea il Sionismo che mira alla Palestina, la terra delle origini, come il futuro stato ebraico. Ma molti rifiutano il Sionismo, Kraus lo critica ferocemente, e per dimostrare il proprio patriottismo quando scoppierà la Grande Guerra andranno volontari. Lo stesso leader socialdemocratico Adler abbandonerà il pacifismo per ragioni patriottiche, non lo seguiranno i socialisti triestini guidati da Valentino Pittoni. E non serviranno neanche le conversioni, numerose soprattutto nei matrimoni misti, al cattolicesimo o al protestantesimo, oppure a proclamarsi “konfessionloss”, cioè senza religione.

La sensazione che sia impossibile liberarsi da questa diversità, provoca in molti intellettuali un “odio di sé” che arriverà fino alle estreme conseguenze, come per Otto Weininger che si ucciderà a 23 anni. Ma il suicidio sarà l’ultimo grido di protesta anche per Stefan Zweig che nel suo “Mondo di ieri” aveva descritto con dovizia di particolari proustiani proprio quella società ebrea viennese assimilata, che teneva distanti da sé e un po’ si vergognava di quelli “ostjuden”, che si facevano notare con i loro caffetani neri e i cappelli di pelliccia quando arrivavano in città dalla Galizia e ancora più da est con il miraggio di diventare dei Rothschild. Zweig ammette di esser stato “reso ebreo” da Herzl, anche se il Sionismo non l’appassiona perché “aveva creduto nell’Europa da europeista ante litteram”. Il personaggio più emblematico del tormento degli ebrei assimilati nella ricerca di una identità è Joseph Roth, comunista da giovane cantore dell’Impero da uomo maturo; sempre in fuga, malato, disperato che si uccide con l’alcol. Un magnifico giornalista che con i suoi articoli e i suoi libri descrive con crudo realismo gli ebrei d’Europa, da quelli che vivono nei palazzi sul Ring agli abitanti dei più miserabili stethl di Polonia, Russia, Ucraina, i “cani e i lupi” per dirla con Irene Némirosky, che saranno tutti spazzati via dalla Shoah. —

Riproduzione riservata © Il Piccolo