La guerra degli austro-ungarici raccontata da un regista sloveno

TRIESTE. Che aria si respirava nelle trincee e negli avamposti nemici durante la Prima Guerra Mondiale? Cosa provavano i soldati dell'Impero austro-ungarico lanciati contro gli italiani, giovani come loro, impauriti e coraggiosi come loro? Lo racconta "Die Wälder sind noch Grün" ("I boschi sono ancora verdi") di Marko Nabersnik, il film di produzione sloveno-austriaca sulla Grande Guerra selezionato in programma al prossimo Trieste Film Festival (dal 16 al 22 gennaio alla sala Tripcovich e al Teatro Miela). Un'occasione unica per guardare al primo conflitto mondiale anche dall'altra parte, dal punto di vista dei nemici, ritrovando lo stesso dolore, la stessa disperazione per una guerra lunghissima e impietosa, rievocata attraverso la sensibilità di un regista di nuova generazione: il quarantenne sloveno Marko Naberšnik, originario di Maribor.
"I boschi sono ancora verdi", già passato con successo al Festival di Shanghai e di Lubiana, è stato girato anche sui luoghi originali del "fronte meridionale" dell'Impero, in Slovenia sulle Alpi Giulie, il monte Mangart, la fortezza Kluže, la gola Iški vintgar, il castello Grad Strmol e Caporetto. La vicenda parte dall'agosto del 1917: la Prima Guerra Mondiale infuria in Europa provocando distruzioni terribili e l'Impero austro-ungarico sta combattendo sul fronte meridionale contro il Regno d'Italia. Il fiume Isonzo è luogo di una sanguinosa guerra di trincea, con centinaia di migliaia di vittime da entrambe le parti.
Tra l'inferno della guerra, il fuoco di fila di migliaia di cannoni, gas asfissianti e bombardamenti, il capitano boemo Jan Kopetzky (Simon Serbinek), rampollo di una ricca famiglia, e il soldato semplice Jakob Lindner (Michael Kristof), figlio di un artigiano, sono gli unici sopravvissuti a un attacco dell'artiglieria italiana. Hanno conquistato la posizione "R", una postazione alle pendici del Monte Rombon sulle Alpi Giulie. Il capitano è gravemente ferito e il giovane e inesperto soldato è stato chiamato al fronte da poco. L'attacco dell'esercito italiano è imminente. Il punto di osservazione, così strategicamente importante, non può essere abbandonato. Senza cibo, acqua e sostegno da parte del comando, sopravvivere umanamente e con dignità diventa una sfida esistenziale. Jakob rimane alla postazione, a 2200 metri sulle montagne, con il capitano morente. Il loro unico collegamento con l'esterno è il telefono da campo. La Prima Guerra Mondiale è stato un conflitto d'attesa e resistenza fisica e psicologica in trincea, come ci ha da pochi mesi ricordato anche Ermanno Olmi nel suo poetico "Torneranno i prati". E come nel film italiano, anche in "I boschi sono ancora verdi" (i due dividono curiosamente il riferimento "naturalistico" del titolo) pur non nascondendo il fango, il freddo e l'orrore, non mette al centro i momenti di battaglia ma l'aspetto umano del conflitto, la nostalgia dei soldati per i genitori e la casa, la paura della morte, lo stupore per la quieta magnificenza della natura e delle montagne indifferenti all'inferno di cui erano scenario.Per questo il film sloveno-austriaco è prima di tutto una dichiarazione pacifista, un film sull'amicizia, la dignità e l'umanità in mezzo all'incubo e all'irrazionalità della prima guerra "industriale" nella storia dell'umanità: un ottimo modo per non dimenticare, nel centenario del conflitto.
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