La guerra dell’Hermada di scena a Muggia

Lo spettacolo dell’attore e regista triestino Renato Sarti con Valentino Mannias chiude oggi la stagione del Verdi 

MUGGIA. Si conclude oggi, alle 20.30, la stagione del Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Muggia con “Hermada, strada privata”, scritto e diretto da Renato Sarti, che si è avvalso della consulenza di Fabio e Roberto Todero, Lucio Fabi e dell’Irsrec Fvg. Proposto in chiusura del Centenario della Grande guerra, lo spettacolo è prodotto dal Teatro della Cooperativa, fondato dall’attore e regista triestino nel 2001 in via Hermada a Milano, e vede in scena anche Valentino Mannias. Le scene sono di Carlo Sala e le musiche di Carlo Boccadoro. Sempre oggi, alle 17, al Caffè del Teatro Verdi si terrà un incontro con gli artisti a cura di Diego Redivo, in collaborazione con l’Università della Terza Età di Muggia e di Trieste.

«Appena arrivato nel quartiere Niguarda, a Milano, - racconta Renato Sarti - ho cominciato a chiedere al bar cosa fosse questa Hermada. Mi rispondevano che era un’armata spagnola, invece poi ho scoperto che dietro quel nome c’era il pensiero di dedicare una via a un monte che durante la Prima guerra mondiale è stato un autentico calvario per gli italiani, un sacrificio inutile senza nemmeno la consolazione di aver conquistato la vetta per qualche ora, qualche minuto, qualche giorno o definitivamente».

Un’etimologia di origine slovena, che significa catasta di legno, il monte Hermada è “una sorta di grande mammella che domina gli acquitrini su cui è sorto il grande cantiere navale” di Monfalcone. Ricoperto oggi da acacie, roverelle, carpini, pini e lecci, agli inizi del ‘900 appariva come una grigia pietraia quanto il monte San Michele, più vicino a Gorizia. «Per la stesura del testo ho avuto la cooperazione dell’Irsrec di Trieste, soprattutto di Roberto Todero che mi ha portato a vedere gli anfratti dell’Hermada, le trincee, i camminamenti. Ho scritto che “a Duino il castello si erge a sentinella sul mare, che per paura del sangue che scorre in quella terra si ferma e si contrae”. La nostra terra, con quel confine ballerino che tre volte in un secolo si sposta in pochi chilometri, è segnata da una quantità impressionante di sangue, di morti».

Se Renato Sarti dà voce al monte Hermada, a impersonare il San Michele è Valentino Mannias, “un autentico talento teatrale” che a ventiquattro anni ha ricevuto il Premio Hystrio 2015. «L’ho conosciuto che aveva diciassette anni, durante un corso che avevo fatto al Festival dei Tacchi all’Ogliastra, in Sardegna. Quando cercavo ispirazione per raccontare l’Hermada, ho pensato a lui, alla sua passione per la storia e alle sue origini sarde. Ed è scaturita l’idea di questi due monti che sono a distanza di un tiro di mortaio: l’Hermada, che non è stato mai conquistato dai soldati italiani, e il San Michele, che sulle sue pendici vede nascere il mito straordinario della Brigata Sassari».

“Hermada” vuol essere un affresco sulla realtà della guerra, per far riflettere quanto la pace sia un bene assoluto, primario. Non a caso fuori dal Teatro Cooperativa sventola da sempre la bandiera della pace. È uno spettacolo che a Renato Sarti piacerebbe poter portare a Monfalcone, dove è nato in quanto, appena scritto il testo, venne fatta un’anteprima sotto forma di lettura in una dolina dell’Hermada. «Sarebbe molto bello riuscire a farlo per intero in loco».

Renato Sarti ritornerà a Trieste assieme a Bebo Storti dal 17 al 22 aprile con “La nave fantasma”, alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti. Il soggetto nasce nel 2003 quando un giornalista di Repubblica, Giovanni Maria Bellu, aveva ritrovato al largo delle coste siciliane il relitto di un barcone. Il 25 dicembre 1996 morirono 283 migranti provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka. «Purtroppo - dice ancora Sarti - è un tema sempre più attuale, perché al di là delle vicissitudini politiche il Mediterraneo rimane un cimitero a cielo aperto». «Lo spettacolo - spiega l’attore - è molto divertente, è un cabaret tragico in cui si ride tantissimo. Alla fine arriva la botta per far capire che parliamo di vite umane come noi, di poveracci che lasciano la propria terra, qualcuno per star meglio e qualcuno per la guerra. Non ha importanza quale sia il motivo, scappano perché non stanno bene. Vengono a reclamare i loro diritti in quanto esseri umani e fanno benissimo».

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