La lama dell’immaginazione entra nelle pieghe della vita e ci racconta personaggi veri

Entrare nelle pieghe più profonde d’una vita. E svelare, con la lama affilata dell’immaginazione letteraria, cosa ci sia davvero oltre l’apparente normalità del quotidiano. Passioni e ragioni. Fragilità che diventano sconfitta o riscatto. Un dolore. E un sorriso. Un racconto di noi, persone più dolenti che felici, nel riflesso colto negli occhi d’un personaggio. Perché di questo, appunto, parlano i romanzi costruiti con sapienza e qualità di scrittura: dell’io e dei noi, nel corso d’una storia che diventa comune. Un buon esempio è “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” di Remo Rapino, (Minimum Fax, pagg. 265, euro 13,60) appena premiato con il Campiello. Un diario, scritto nella stentata vecchiaia degli oltre ottant’anni, da un “cocciamatte”, un pazzo che, in un angolo della piazza del paese, capisce tutto con uno sguardo “tutto storto come una serpe”, rimemora e rimpiange. Voce ai margini, ricostruisce in un diario molto personale (con una lingua in parte dialettale d’Abruzzo, in parte letterariamente rielaborata) lo scorrere del Novecento, la nascita drammatica nel 1926 e le disgrazie di famiglia, la guerra e i lutti, l’emigrazione a Milano e il lavoro duro di fabbrica negli anni del boom, la disoccupazione e l’infelice ritorno a casa, l’effimera ricchezza squilibrata degli anni Ottanta e le tensioni del volgere del millennio. Storia minima e storia grande, “acqua che viene e acqua che va” perché “ogni storia di uomo, matto o normale, è una mescolatura delle stesse cose, na cascanna di lacrime, qualche sorrisetto, na cinquina di gioie di straforo e un dolore grosso come quando al cinema si spengono le luci”. Lui, un dolore lungo tutta la vita ce l’ha: non avere mai visto il padre, che la madre raccontava gli somigliasse molto. E così vuole che sulla lapide ci sia proprio scritto “Aveva gli occhi uguali a quelli di suo padre”. Amen.
“Le vite che nessuno vede”, scrive Eliane Brum per Sellerio (pagg.256, euro 16): cronache dell’esistenza di “persone comuni”, nel Brasile contemporaneo, raccolte in un’originale “inchiesta narrativa” per raccontare diseguaglianze economiche e solitudini, fatiche di vivere e sforzi straordinari per costruirsi un futuro fuori dalle miserie delle favelas e dalle tentazioni delle scorciatoie criminali. Non c’è “colore”, né scrittura a effetto. Semmai, una lingua piana, che dà evidenza alla forza reale di situazioni e persone. E un impegno costante: non lasciare mai che lo sguardo si spenga, si abitui a quel che c’è intorno fino a non vederlo più.
Ecco, bisogna stare attenti a “I valori che contano” (Einaudi, pagg. 320, euro 18,50), come racconta Diego De Silva nel nuovo romanzo costruito attorno a un personaggio che abbiamo imparato ad amare, Vincenzo Malinconico, avvocato di pigro mestiere e divertente ironia, finito suo malgrado nei guai per avere nascosto una giovane “squillo”, figlia del potente sindaco della città. Ma il guaio vero è la scoperta d’un tumore. Paura e dolore. Ma anche l’inattesa scoperta di amicizia e solidarietà, familiare e amorosa. Vivere è una collezione di sorprese.
Lo sguardo si sposta sugli Usa, con “Il decoro” di David Leavitt, (Sem, pagg.352, euro 17), per indagare sulle ansie e lo smarrimento dell’alta borghesia liberal di New York all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca (novembre 2016) Da un’elegante villa del Connecticut agli appartamenti nel’Upper East Side di Manhattan, Leavitt racconta le preoccupazioni d’una ricca signora, Eva Lindquist e degli amici (editoria, finanza, giornalismo, moda), sino alla suggestione d’una fuga verso un mondo più sicuro, comprando un antico palazzo di Venezia. Ci sono preoccupazioni politiche, sulle forti inclinazioni di destra, razziste e sessiste di Trump. E questioni di stile, per la pacchianeria delle scelte formali. Si discute di cultura e arredamento, libri e cibo, politica e pettegolezzi. E Leavitt usa con sicurezza lo sguardo acuto dell’indagine personale e sociale e una sofisticata ironia per rivelare, di quella borghesia democrat, la vacuità formale di scelte e comportamenti. Che nesso c’è tra eleganza e libertà? —
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