La sfida di Perlasca Schindler italiano rivive oggi a Trieste

C’è il figlio Franco a scuola e alla Libreria Lovat Alla Sala Bartoli la pièce di Alessandro Albertin
Di Pietro Spirito

di PIETRO SPIRITO

«Vorrei che i ragazzi si interessassero a questi fatti perché sapendo quello che è successo allora sappiano opporsi ad altre violenze del genere e a ogni forma di razzismo». In questa frase sta il testamento spirituale di Giorgio Perlasca, lo Schindler italiano, Giusto per le Nazioni, l’uomo che durante la seconda guerra mondiale salvò la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi strappandoli alla deportazione nazista e alla Shoah. Una storia straordinaria, la sua, resa celebre fra l’altro dal film tv “Perlasca. Un eroe italiano” (2002) interpretato da Luca Zingaretti e da libri come “La banalità del bene. Storia di Giorgio Perlasca” di Enrico Deaglio o anche il graphic novel “Giorgio Perlasca, un uomo comune” di Marco Sonseri ed Ennio Buffi. Insomma una grande storia, riemersa dalla pieghe del passato solo nel 1988, e che oggi verrà ricordata, raccontata e rappresentata a Trieste in un triplice appuntamento che coinvolgerà la scuola, il teatro e il mondo dei libri.

Si comincia al mattino, quando il figlio di Giorgio Perlasca, Franco, incontrerà i ragazzi della scuola media Divisione Julia. Alle 18, poi, alla Libreria Lovat di Viale XX Settembre 20, Silvia Del Francia e Luca Cognolato presenteranno il loro libro “L'eroe invisibile” (Einaudi Ragazzi, 2014), ancora con la partecipazione di Franco Perlasca. Infine alle 19.30, alla Sala Bartoli del Teatro Rossetti, va in scena “Il coraggio di dire no. La storia di Giorgio Perlasca”, scritto e interpretato da Alessandro Albertin e a cura di Michela Ottolini (repliche venerdì alle 19.30, mercoledì, giovedì e sabato alle 21, domenica 26 alle 17). È uno spettacolo che fonde insieme l'impegno della testimonianza storica e la dimensione artistica, con un protagonista che interpreta e connota - lui da solo - tutti i personaggi della storia e li colloca in un racconto nitido e scorrevole.

È dunque un vero e proprio Perlasca-day, oggi a Trieste, per una storia che proprio in questa città ha la sue radici, essendo triestina la donna che qui sposò Perlasca nel 1940, Nerina Del Pin, essendo nato a Trieste nel 1954 Franco Perlasca, ed essendo triestino di adozione uno degli ultimi ebrei ungheresi ancora in vita salvati dallo Schindler italiano, lo scrittore Giorgio Pressburger. «Abbiamo vissuto diversi anni a Trieste - racconta Franco Perlasca, protagonista degli incontri di oggi -, ed è importante ritornare a dare qui una testimonianza che continua ad avere valore oggi e continuerà ad averlo anche domani».

La storia inizia negli anni Venti, quando Giorgio Perlasca, nato a Como il 31 gennaio 1930, aderisce con entusiasmo al fascismo, in particolar modo alla versione dannunziana e nazionalista. Coerente con le sue idee, nel ’35 Perlasca parte come volontario prima per l’Africa Orientale e poi per la guerra di Spagna, dove combatte in camicia nera con un reggimento di artiglieria al fianco del generale Franco. Finita la sanguinosissima guerra civile spagnola, Giorgio Perlasca torna in Italia, dove però entra in crisi profonda il suo rapporto con il fascismo. Due i motivi del ripensamento: l’alleanza con la Germania, contro cui. l’Italia aveva combattuto solo vent’anni prima, e le leggi razziali entrate in vigore nel 1938, che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani. Leggi inaccettabili per il giovane Perlasca, che prende le distanze dal fascismo anche se non diventerà mai un antifascista.

Allo scoppio delle seconda guerra mondiale, Perlasca è inviato come incaricato d’affari con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est per comprare carne destinata all’Esercito italiano. L’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, lo trova impiegato a Budapest. Qui Perlasca, sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato al re, rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, e viene internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici. Intanto a metà dell’ottobre 1944 i tedeschi prendono il potere in Ungheria, e affidano il governo alle Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, che iniziano una serie di persecuzioni sistematiche e deportazioni nei confronti dei cittadini di religione ebraica.

Approfittando di un permesso a Budapest per visita medica, Perlasca fugge dalla sua prigione. Si nasconde prima da vari conoscenti e quindi, grazie a un documento firmato di suo pungo dal generalissimo Franco che aveva ricevuto al momento del congedo in Spagna, trova rifugio nell’ambasciata spagnola. Qui, in pochi minuti, Giorgio Perlasca “diventa” cittadino spagnolo con regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca. Inizia allora a collaborare con Sanz Briz, l’ambasciatore spagnolo che assieme alle altre potenze neutrali presenti (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano) sta già rilasciando salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica. A fine novembre, però, Sanz Briz deve lasciare l’Ungheria per non riconoscere de jure il governo filo nazista di Szalasi, che chiede lo spostamento della sede diplomatica da Budapest a Sopron, al confine con l’Austria. Appena il ministero degli Interni ungherese viene a sapere della partenza di Briz, ordina di sgomberare le case protette dove alloggiano gli ebrei.

Ed è a questo punto che Perlasca scende in campo, autonominandosi rappresentante diplomatico spagnolo, e iniziando ad architettare l’incredibile impostura che lo porterà a proteggere, salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ungheresi di religione ebraica ammassati nelle case protette lungo il Danubio. Nell’arco di soli quaranticinque giorni Giorgio Perlasca salva gli ebrei dalle incursioni delle Croci Frecciate, va assieme a Raoul Wallenberg, l’incaricato personale del re di Svezia, alla stazione per cercare di recuperare i protetti in partenza per i campi di sterminio, tratta ogni giorno con il governo ungherese e le autorità tedesche di occupazione, rilascia salvacondotti per gli ebrei in cui si legge che «parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna», per cui «sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo spagnolo». Il finto diplomatico finto spagnolo riuscirà così a salvare la vita di 5218 ebrei ungheresi.

Tornato in Italia a guerra finita, Perlasca non racconterà a nessuno la sua storia. Finché, nel 1988, a ridosso della caduta del Muro di Berlino, arriva da Budapest a Padova - dove Perlasca risiede con la famiglia - una donna, la signora Lang, con suo marito. La donna è l’avanguardia di un gruppo di alcune ebree ungheresi, ragazzine all’epoca delle persecuzioni, che attraverso il giornale della comunità ebraica di Budapest hanno cercato notizie di quel diplomatico spagnolo che durante la seconda guerra mondiale le aveva salvate.

«Ricordo bene quel giorno del 1988 - racconta Franco Perlasca -, quando la signora Lang salì la scale di casa con suo marito. Erano emozionatissimi; io, allora poco più che trentenne, non sapevo ancora nulla di cosa aveva fatto mio padre, ed ero piuttosto imbarazzato. Poi ho ascoltato e capito il perché di tanta emozione».

In quel momento la vicenda di Giorgio Perlasca esce dal silenzio. Presto le testimonianze dei salvati si accavallano sempre più numerose, arrivano i giornali, le televisioni, i libri, e lo stesso Perlasca va nelle scuole per raccontare ai ragazzi tutto quello che aveva fatto.

Giorgio Perlasca è morto il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova. Sulla sua tomba, accanto alle date di nascita e morte, un’unica frase: “Giusto tra le Nazioni”. In ebraico.

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