“La stagione del vento” racconta lo stile libero di Coco Chanel nel disegnare la moda a mani nude

L’opera d’esordio della parigina Laure Duval scava nel mito intramontabile «Non mi pento di nulla nella mia vita eccetto di quello che non ho fatto»
Di Giovanna Pastega



Una cosa è certa, Gabrielle Chanel aveva fatto della libertà uno stile di vita, un modo per guardare al futuro: forse per questo la sua figura è rimasta nell’immaginario collettivo un’icona intramontabile. «Non mi pento di nulla nella mia vita - era solita dire - eccetto di quello che non ho fatto». Lungo il sottile filo rosso della libertà di vivere a modo proprio, senza paure, senza falsi pudori, con determinazione, guardando lontano, ma con tutte le fragilità e i chiaroscuri di una donna di grande carattere, si costruisce la Coco Chanel del romanzo d’esordio di Laure Duval “La stagione del vento” (Mondadori, 360 pp, euro 19).

Da subito, dall’incipit del romanzo, l’autrice - parigina di nascita, milanese d’adozione e appassionata di moda - mette in chiaro che la narrazione non avrà un'unica visione, un unico sguardo sulle cose, bensì tre sguardi diversi: quello di Coco, una donna capace di costruire la sua vita a “mani nude”; quello di Arthur Capel (detto Boy), il grande amore di Chanel e al contempo suo principale finanziatore, al quale Gabrielle volle poi restituire sino all’ultimo centesimo: «Credevo di darti un giocattolo – dirà Boy a Coco - e ti ho regalato la libertà»; quello della cameriera Aurore, un personaggio d’invenzione, ma assolutamente plausibile, intimidita e a disagio di fronte alla spregiudica mentalità “maschile” della sua padrona. Così, attraverso i loro occhi, la storia racconta sei anni cruciali della vita della grande stilista.

È il 1913: Coco decide di aprire, dopo Parigi, la sua prima boutique di moda in Gontaut-Biron a Deauville sulle coste della Normandia. È da qui che il romanzo inizia e prosegue inoltrandosi negli anni duri della Grande Guerra in un succedersi di visioni, pensieri e momenti, concepiti come il mosaico di un’epoca e al contempo filtrati dalle emozioni dei protagonisti. Sono gli anni in cui il vento della storia fa sentire il suo furore e annuncia poi il primo grande conflitto mondiale che lascerà sul campo milioni di morti. Sono gli anni della grande influenza spagnola che sterminerà un’Europa già fiaccata dalla guerra. Sono gli anni delle grandi rivoluzioni che preannunciano i profondi cambiamenti, sociali, politici, economici del secolo veloce, in cui gli equilibri del mondo passato saranno spazzati via: la conquista dei diritti prenderà campo, i costumi allargheranno le maglie del rigore, l’arte stravolgerà il suo rapporto con la realtà, le gonne si accorceranno e le donne, dopo aver lavorato durante il conflitto al posto degli uomini, riprenderanno la loro lunga marcia alla conquista della parità.

In questo romanzo così, capitolo dopo capitolo, il lettore viene a contatto con Gabrielle e con la realtà di una donna “avanti” per il suo tempo, con il suo mondo in continua costruzione, piccolo e grande al tempo stesso, volitivo e malinconico, dentro al quale si stagliano nella loro umanità passante personaggi, veri o inventati, che inevitabilmente vengono travolti insieme all’astro nascente della moda dall’onda d’urto della Grande Guerra. Tutti ne verranno toccati profondamente dentro e fuori: la cameriera Aurore che dal desiderio di una vita monacale passerà all’amore per un uomo e le sue figlie; Arthur, che dopo i successi in politica, in guerra e negli affari, incontrerà la morte in un incidente automobilistico; e naturalmente Gabrielle che pagherà la costruzione del suo impero nella moda con la consapevolezza di un destino in cui la libertà ha sempre il prezzo più alto, perché nel vento che tutto travolge è l’unico appiglio a cui possiamo tenerci stretti restando inevitabilmente soli: «Boy mi ha insegnato - constata Coco nel romanzo - che veniamo dal vento, dal cielo e dalla stessa terra su cui appoggiamo i piedi, e che tutto ciò che possiamo dare o ricevere in questa vita è la libertà».—





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