La televisione secondo Aldo Grasso Dal ’54 a oggi il nuovo focolare laico



All'indomani dell'Unità, pare che Massimo D'Azeglio pronunciasse una frase destinata a diventare celebre: «Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani». A tal fine, in molti concordano sul fatto che cent'anni di scuola nazionale non riuscirono a compiere quanto sarebbe stata in grado di fare la televisione - nel bene e nel male - in pochi anni. Con questa semplice considerazione si giustifica l'impegno profuso da un esperto come Aldo Grasso, professore di Storia della radio e della televisione all'Università Cattolica di Milano, nel realizzare per la casa editrice Il Saggiatore una monumentale Storia critica della televisione italiana (3 tomi in cofanetto per complessive pagg. 1420, euro 55): nuova edizione, ampliata e aggiornata, della fortunata Storia della televisione italiana uscita da Garzanti nel 1992.

Le trasmissioni ufficiali della Rai iniziano il 3 gennaio 1954, ma ancora alla fine degli anni '50 gli apparecchi televisivi erano ospitati da bar, circoli e altri luoghi di aggregazione, mentre solo poche famiglie possedevano quest'oggetto di culto, vero e proprio status symbol. Con la diffusione dei televisori nelle case degli italiani, però, gli spettacoli trasmessi dalla Rai diventano quasi dei riti domestici, celebrati intorno a un nuovo focolare. Attraverso i grandi sceneggiati (fiction, diremmo oggi, tratte dai classici della letteratura e interpretate dagli attori più celebri della prosa teatrale), la televisione svolge una funzione educativa, mentre con i quiz a premi, i varietà e gli sketch di Carosello (la trasmissione in cui brevi scenette pubblicitarie si susseguono come gli elementi di una giostra girevole) offre intrattenimento e distrazione.

Grasso e i suoi collaboratori, Luca Barra e Cecilia Penati, offrono un racconto annalistico della tv italiana, che per ogni anno descrive lo «scenario» complessivo, per poi soffermarsi, in una sezione denominata «cartellone», su alcuni dei programmi più significativi ed emblematici: da Lascia o raddoppia?, il mitico game show condotto da Mike Bongiorno dal 1955 al 1959, ai Promessi sposi di Sandro Bolchi (1967), dalla Domenica sportiva (nata anch'essa nel '54 e tutt'ora viva e vegeta, nonostante la scipitezza, a giudizio di Grasso, di molti dei presentatori che si sono succeduti alla sua conduzione) a Drive in negli anni '80 (perché nel libro non c'è solo la Rai, ma anche tutta la stagione delle tv commerciali), e poi, ancora, i documentari, i telefilm, le tribune politiche, i talk-show. In una terza sezione, “A video spento”, vengono raccolti materiali di varia natura: esempi di palinsesti, brani di recensioni e interviste, passi di saggi e opere di altro genere.

Non si pensi però a un lavoro meramente "archeologico" o tutto proiettato sulla nostalgia. Non mancano infatti alcuni interessanti spunti di riflessione sul presente e sul futuro del mezzo televisivo. Rispetto al quale l'autore sembra piuttosto ottimista. Scrive infatti nel saggio introduttivo: «Non dobbiamo cedere all'ingenuità della retorica secondo cui "la televisione non esiste più", si è trasformata in qualcosa di radicalmente diverso e totalmente nuovo, è stata inevitabilmente surclassata da altri mezzi di comunicazione più "personali" e "leggeri" (come tutti quelli che si appoggiano al digitale come linguaggio e al web come piattaforma distributiva). In realtà, la televisione generalista gode ancora di buona salute, nonostante il suo statuto sia attraversato da fenomeni di innovazione e cambiamento».

Infine un piccolo appunto, che non intende essere pedanteria, ma suggerire un piccolo miglioramento per le future edizioni che auguriamo a quest'opera così importante: c'è, in fondo all'ultimo tomo, un «indice delle trasmissioni», ma non è presente un indice dei nomi, che in lavori di questo genere costituisce un fondamentale strumento di consultazione. —



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