La terra impossibile dei cosacchi ingannati nel diario di una ragazza della Resistenza

La scrittrice friulana Bruna Sibille-Sizia è entrata nella grande letteratura con il racconto dell’occupazione della Valle del Torre tra il ’44 e il ’45 sul filo di una pietas che abbraccia il dolore dei nemici

TRIESTE Bruna Sibille-Sizia è tra le poche donne ad essere entrata nella letteratura moderna con un libro sulla Resistenza. Il titolo, La terra impossibile, sposta subito l'attenzione sul luogo e sull'obiettivo individuato come primario da una collettività dalle forti tradizioni agrarie. Pubblicato nel 1956, è la storia dell'occupazione, da parte dell'armata cosacca, del Friuli orientale, parte dell'Adriatisches Küstenland dopo l'8 settembre 1943, e in particolare della zona delle colline tarcentine e della Valle del Torre. Il racconto riprendeva l'esperienza partigiana dell'autrice, che aveva tenuto in quegli anni appunti di guerra, pubblicati successivamente come Diario di una ragazza nella Resistenza. Friuli 1943-45 (1998).

Al di là della ben documentata realtà storica, è la prospettiva adottata ad essere piuttosto anomala rispetto all'epica resistenziale, perché è assimilata a quella degli occupanti: per fuggire dai campi di sterminio nazisti, i cosacchi erano stati convinti dai tedeschi ad invadere quelle terre per combattere "i ribelli", con la promessa che alla fine ne sarebbero entrati in possesso. Arrivarono il 20 agosto 1944, ma nella primavera del 1945 avevano capito verso che epilogo stesse andando la guerra. Si faceva dunque strada nelle loro menti la certezza di essere finiti in una trappola, consapevoli come erano che il Friuli non sarebbe stata la nuova patria, e che non sarebbero potuti tornare neppure in quella da cui erano partiti, dove Stalin li avrebbe sterminati come traditori. Il territorio occupato era diventato dunque La terra impossibile.

Ed è per questo che Bruna Sibille-Sizia, con la pietas di chi ha vissuto contro, ma anche vicino a loro, ha poi scelto di mettere in scena, sullo sfondo della Resistenza, anche le storie di uomini e donne di quell'armata. I suoi luoghi d'infanzia perdono dunque la tonalità di una antica e chiusa civiltà contadina, per animarsi di presenze esotiche, come accadrà successivamente in un altro romanzo, Un pugno di vento, dove l'autrice ha ricostruito il tempo delle invasioni turche del XV secolo e dell'incontro-scontro con l'Islam. Territorio di passaggio, il suo Friuli è diventato il luogo emblematico della lotta per la vita e insieme dell'offerta di una possibile accoglienza, perché la sua gente, per natura radicata e poco incline ai mutamenti, si è sempre mostrata disposta ad abbandonare le proprie case e le proprie terre, in nome del dovere e di un raro senso del sacrificio. Ma una volta emigrata per trovare sicurezza e lavoro, non ha pensato ad altro che al ritorno, grata comunque a chi le aveva offerto solidarietà: così era stato per gli sfollati durante la Grande Guerra (Il fronte del fango, 1988) o dopo il terremoto del 1976 (Un cane da catena, 1986).

Bruna Sibille-Sizia insomma, pur non nascondendo mai la crudeltà e la durezza della guerra, ha voluto riconoscere nelle vicende drammatiche vissute in prima persona il manifestarsi di un destino imprevedibile e per certi aspetti comune a quello toccato ai cosacchi. Memore della suggestione provata assistendo ai loro riti religiosi e civili, ascoltando le loro musiche, gustando i loro cibi, sapendo dei loro odi ma anche dei loro amori, con La terra impossibile ha cercato di ricordare anche i momenti in cui la presenza nemica rimandava a sentimenti condivisibili: i fuochi degli accampamenti sul greto del Torre e nelle caserme, che durante l'altra guerra erano state vissute dagli alpini; i favolosi cavalli che si spaventavano al rintocchi delle campane suonate nelle nostre chiese; il dolore dei cortei funebri, eguali per tutti, come la nostalgia della propria terra, o la meraviglia di fronte al sorgere del sole dietro ai monti, provata da Nàstia, la protagonista cosacca del romanzo: perché è lei il personaggio positivo, che osa immaginare la propria vita dentro a una di quelle case, da addobbare a Natale con le ikone portare con sé; ed è sempre lei a non comprendere il motivo della guerra fratricida tra italiani. Spiccano nel racconto le storie di tante altre donne, che hanno saputo stendere un filo, seppur sottile, di solidarietà, in quanto madri, mogli, infermiere, combattenti da una parte e dall'altra della barricata. Ma che non furono egualmente vittime di violenze d'ogni genere: i cosacchi infatti avevano imparato ad essere crudeli non solo verso le nostre donne ma anche verso i partigiani, ai quali tuttavia, verso la fine della guerra, alcuni si unirono in una lotta comune contro i tedeschi. Ma su quella terra, per cui si era mossa un'intera armata spinta dal desiderio di una patria, dei cosacchi restarono solo le lunghe file delle loro croci bianche. Uno di loro, un prigioniero che aveva visto il fratello morire con la testa spappolata, ogni sera attendeva commosso che i suoi carcerieri intonassero Stelutis alpinis, quel triste canto simile a una preghiera che gli ricordava altri canti; così come il focolare intorno al quale si riunivano gli faceva pensare ad altri fuochi, ormai davvero irraggiungibili.

Dopo l'uscita del romanzo, Bruna Sibille-Sizia scrisse per "Il Corriere di Trieste" del 13 agosto 1957 un articolo, con tanto di documentazione fotografica. Prese in consegna da tre tedeschi le ossa dell'Atamàn Krasnov, la cronaca del disseppellimento nel camposanto di Villa Santina del corpo del generale cosacco, accanto al quale venne ritrovata l'elsa della sua sciabola. Ed è proprio da questo articolo che Claudio Magris prese esplicitamente lo spunto per scrivere il suo primo testo narrativo, Illazioni su una sciabola, in cui ricostruiva la storia di quella sciabola e di quell'elsa, appartenuta certamente a un comandante di primo piano, anche se non a Krasnov, come era riuscito a dimostrare. Alla Terra impossibile si ispirò anche Carlo Sgorlon per la sua Armata dei fiumi perduti (1985), opera meno documentaria dove la protagonista, generosa ed accogliente, si chiamava Marta ed era una ragazza carnica. —

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