La traduttrice ombra di Elio Vittorini arrivava da Trieste

La controversa collaborazione con Lucia Rodocanachi riemerge nel libro che raccoglie le lettere dello scrittore

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Di Virginia Woolf poteva recitare pagine a memoria. Ma quando era andata a incontrarla a Mentone, per ottenere il permesso di tradurre un suo libro, Lucia Morpurgo Rodocanachi si era lasciata vincere dalla timidezza. Non trovando il coraggio di chiedere una dedica sulla copia di “Flush, a biografy”, pubblicato nel 1933 dalla Hogarth Press, che l’amata scrittice di “Mrs Dalloway”, “Le onde” e “Orlando” le aveva regalato.

Ma alla Rodocanachi, forse, bastava il libro. Considerato il suo amore per la carta stampata, che l’aveva portata a riempire fino all’inverosimile la casa di Arenzano, in Liguria, dove viveva con il marito pittore Paolo. E non stupisce che proprio lei, amica di Eugenio Montale, di Carlo Emilio Gadda, fosse consigliata a Elio Vittorini per affiancarlo nel suo lavoro di traduttore. Perché Lucia, nata nella Trieste asburgica del 1901 da una famiglia di origine ebreo-tedesca, dopo il diploma magistrale ottenuto a Genova nel 1920, aveva continuato a studiare con accanimento diverse lingue. Per poter leggere nella versione originale tanti amati scrittori.

Vittorini accettò con entusiasmo di poter contare sull’aiuto della Morpurgo Rodocanachi. Tanto da avviare con lei un fitto carteggio che ritorna all’attenzione oggi grazie al prezioso volumetto “Si diverte tanto a tradurre? Lettere a Lucia Rodocanachi 1933-1943” curato da Anna Chiara Cavallari e Edoardo Esposito per la casa editrice Archinto (pagg. 119, euro 20).

Erano gli anni asfittici dell’Italia fascista. Scrittori come Elio Vittorini, come Cesare Pavese, cercavano nei romanzi americani, negli scrittori d’oltre oceano, ma non solo, qualche boccata di libertà che li tenesse aggrappati alla vita, alla letteratura. Di soldi ne giravano pochissimi. Così, pur riconoscente per il suo ottimo lavoro di traduttrice, Vittorini finì per oscurare il ruolo di Lucia Rodocanachi nella versione di libri importanti. Nel periodo tra il 1933 e il 1949 a firma dello scrittore del “Garofano rosso”, di “Conversazione in Sicilia”, uscirono almeno 26 libri. Opere di autori del calibro di D.H. Lawrence, Edgar Allan Poe. Mentre la Morpurgo, per conto suo, metteva mano a E.T.A. Hoffmann, Dylan Thomas.

Scriveva Vittorini alla Rodocanachi il 23 maggio del 1935: «Le spedisco a parte il “Serpente piumato” che finalmente è uscito. Anche questo secondo libro è venuto fuori come mio solo, per inerzia, perché non sono stato capace di avvertire, come desideravo, che c’era lei in collaborazione». E promettava: «Ma per il terzo ci penserò». Sollecitando: «Per piacere, mi spedisca intanto tutto quello che ha pronto». Riconoscendo che «c’è quasi una punta di sfruttamento, in questo, da parte mia». Non a caso, Montale ironizzava sul ruolo della Morpurgo chiamandola «négresse inconnue», la negra schiava dei suoi amici letterati. Auspicando per lei una maggiore notorietà.

La traduzione del saggio di Lawrence su Verga, confessava Lucia al critico Carlo Bo, nella lettera del 27 novembre 1937 (una delle poche rimaste di lei) «l’ho fatta io, e rispetti il segreto di Pulcinella. Vitt. non ci si è affaticato sopra». Ma in questo, si dimostrava ingenerosa, visto che lo scrittore non si avvicinava di certo con la mano sinistra all’umile compito di traduttore.

Leggendo oggi le lettere, risulta chiaro che fosse soprattutto la questione economica a tormentare Vittorini. «Sono un operaio - scriveva nel gennaio del 1936 - e lavoro a conquistare per me e la mia famiglia il minimo indispensabile di esistere». Ma è bello soprattutto notare come Vittorini non smettesse di considerare i libri, gli scrittori, i problemi linguistici da affrontare, ma anche le questioni etiche e politiche, un orizzonte importante nella propria vita. Ricambiato, ovviamente, dalla totale dedizione di Lucia Rodocanachi nei confronti della letteratura.

Completa il ritratto di questo complesso rapporto di collaborazione l’episodio di Vittorini che suggerisce a Gadda, incontrato a Milano, di spedire almeno una cartolina a Lucia. Per dirle «come ci trovavamo insieme e avevamo il suo ricordo con noi».

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