La tromba impavida di Roy Paci suona al Festival del Coraggio

«Il coraggio lo hai nel dna se come me nasci in una famiglia che ti insegna l'attaccamento alla vita, i valori semplici: "quando vedi qualcuno in difficoltà lo devi aiutare, perché tu sei fortunato, che hai due mani e due braccia" mi diceva mia madre e io ho sempre fatto questo, a volte anche rischiando». L'impegno è una costante nella carriera di Roy Paci, il trombettista, cantante, compositore e produttore nato ad Augusta 52 anni fa. La musica l'ha portato ovunque, ha collaborato con Manu Chao, Mike Patton, Fossati, Capossela, Silvestri e molti altri, fino al Sanremo con Diodato. Dopo tanto girare è tornato nella sua Sicilia, dove ha fondato l'etichetta e agenzia Etnagigante. Vicino da sempre ad Amnesty International, Emergency, Amref e Libera, nel 2019 "Salvagente", scritta con il rapper Willie Peyote, ha vinto il Premio Amnesty International Italia. Tante le storie che potrà raccontare (e qualche canzone con Antonio Amabile al pianoforte) sul palco del Teatro Pasolini di Cervignano, stasera alle 21 per il Festival del Coraggio.
«Ho un rapporto d'amore con il Friuli Venezia Giulia - dice Roy Paci -, se ho la possibilità mi fermo sempre anche più della giornata del concerto. Saranno vent'anni che metto piede al No Borders, dai tempi con i Mau Mau fino alla performance assieme a Davide Rossi e Angelo Sicurella. A Trieste ho passato tante belle avventure musicali e non, ho fatto il Barcolana Festival, le serate per i miei splendidi amici Ixis&Steve (Nite for Ixis) e poi venivo apposta per andare in un birrificio».
Cos'è per lei il coraggio?
«È andare alla manifestazione per ricordare Peppino Impastato, 20-30 anni fa, quando ancora c'erano cento persone in tutto e nel momento in cui tu camminavi per le vie di Cinisi molte famiglie spaventate abbassavano le serrande e chiudevano le porte. Metterci la faccia, sfilare per la giustizia, l'impegno e la lotta contro delle piaghe sociali (in quel caso la mafia, ma ce ne sono anche tante altre). Il braccialetto per Regeni lo porto sempre, non solo quando c'è visibilità».
E guardando alle sue scelte di vita?
«Sono stato coraggioso nell'andare in giro per il mondo a cercare la via giusta per imparare. Non sono scappato dalla mia terra, volevo confrontarmi con le culture, con le comunità, con un pensiero diverso. Dopo trent'anni di nomadismo sono tornato in Sicilia e adesso mi sento un siciliano più maturo, più capace anche di trasmettere le cose che ho imparato in tutti questi anni. Ma lì è stata più l'intraprendenza, il coraggio è quello di marciare quando ancora ti chiudono le porte in faccia, o le legnate da innocente a Genova 2001».
Ha avuto paura?
«Non mi sono mai spaventato, neanche quando mi sono trovato sotto al palco dei loschi figuri che avevano le pistole dietro: una quindicina di anni fa a Messina feci salire sul palco un attivista che parlava della bellezza dello Stretto di Messina senza il bisogno di dover costruire un ponte che, come si diceva all'epoca, avrebbe unito le due cosche piuttosto che le due coste, con una devastazione ambientale non di poco conto».
Quello estivo è stato presentato come l'ultimo tour degli Aretuska. Vero?
«Dopo 25 anni di gloriose avventure con gli Aretuska ho deciso di chiudere perché ritengo sia il momento di fare qualcosa di nuovo, aggiornato, anche più elettronico. Ma i concerti - col pubblico seduto ho pensato un repertorio più cantautorale, versione crooner - sono piaciuti molto e ci chiedono di fissare ancora un piccolo tour teatrale. Vedremo». —
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