La vita vista da una portaerei
“Un’altra formidabile giornata per mare” , il nuovo reportage di Geoff Dyer
Michel Foucault sosteneva che la nave - ogni nave - è l’eterotopia per eccellenza, vale a dire il luogo separato dal normale contesto quotidiano (come le cliniche, le carceri o le biblioteche) più separato di qualsiasi altro. La nave, diceva il filosofo francese, è “una specie di contestazione mitica e reale dello spazio in cui viviamo”. La nave come scrigno di sogni e immaginazione, dunque, un “luogo senza luogo” calato nell’infinità del mare e che “vive per se stesso”, spazio in movimento che viaggia verso altri e diversi luoghi sconosciuti, lontani, forse pericolosi. Vale per ogni nave, ma vale forse di più quando la nave è una portaerei, aeroporto galleggiante da ferro e fuoco che oltre a occupare gli spazi blu degli oceani dilaga anche su nel cielo, moltiplicando il suo immaginario eterotopico. Figuriamoci allora cosa succede se su questa portaerei, nello specifico la “Uss George H. W. Bush” - colosso a propulsione nucleare da 102mila tonnellate lungo 332 metri - sale uno scrittore come
Geoff Dyer
, critico letterario e autore di arguti saggi e libri di viaggio. L’ha chiesto lui di essere ospitato in qualità di “writer in residence” per coronare un vecchio sogno, appunto quello di navigare su una portaerei. Così, assieme a un fotografo, il britannico Dyer arriva in volo sulla Bush “a bordo di un Grumman C-2A Greyhound: uno sgraziato turboelica che più che al levriero del nome (Greyhound) somigliava a un cavallo da guerra o da tiro”. Per un intellettuale un po’
agée
e molto
british,
pieno di fisime e fastidi come tanti uomini di carta, già solo atterrare sperando che l’aereo non manchi la “trappola” - cioè il cavo d’arresto sul ponte della portaerei - può essere un’esperienza forte. Che diventa una grande e a tratti surreale avventura umana ed esistenziale quando si tratta di trascorrere due settimane a contatto diretto con i cinquemila fra uomini e donne dell’equipaggio, piloti compresi, mentre ogni mattina il comandante pronuncia dagli altoparlanti la rituale frase “È una formidabile giornata per mare”. E
“Un’altra formidabile giornata per mare” (Einaudi, pagg. 218, euro 18,00)
è il titolo del divertente, spiazzante, illuminante reportage che Dyer ha scritto da bordo della portaerei “George H. W. Bush” in missione nel 2011 davanti alle coste dell’Iran. Disturbato dal cibo, dalla promiscuità degli spazi, dai gabinetti spesso fuori uso, Dyer se ne va in giro in lungo e in largo per la nave raccogliendo storie, intervistando ufficiali e marinai, assistendo a esercitazioni e rituali lavori come la minuziosa pulizia del ponte, svolta da decine di marinai schierati tutti insieme in cerca anche solo di una briciola che possa danneggiare gli aerei al decollo o in atterraggio.
Ne esce il racconto di un’umanità varia e composita, il ritratto in miniatura di un’America che obbedisce a se stessa, ragazzi e ragazze alle prese con i propri sogni che nella Marina trovano a volte un rifugio altre volte un trampolino per altre mete e altri sogni. Come Leesa Zilempe Specialista culinaria di seconda classe, la cuoca del capitano, che salva l’autore dai suoi disturbi gastrici e sogna di diventare un giorno cuoca alla Casa Bianca. O come la consulente di bordo per i problemi di droga, che spiega come i marinai si inventino sempre nuove droghe da assumere di nascosto, come un sale da bagno, o i gas fognari, “che sniffano per sballare”. E poi i piloti, addestrati per atterrare anche al buio su una pista simile a un francobollo flottante. O la psicologa o il cappellano, abituati a raccogliere e gestire le crisi di giovani che in molti casi hanno a lasciato mogli, mariti e figli dall’altro capo del mondo. Durante il suo soggiorno Dyer fa quello che deve fare ogni scrittore: indaga il mondo, interrogandosi e interrogando su sesso, religione, fanatismo, coraggio, paura, politica, cibo. E in questo confronto con l’eterotopia della portaerei Dyer finisce per essere ingoiato da una realtà che lo tocca nel profondo: “Molto dipende dalla tracotanza e dalla sicurezza dei piloti (...) quelli che atterrano su portaerei grandi quanto un francobollo o una padella. Ma la sicurezza è fondamentale anche nella scrittura. Non te la cavi senza il talento a non te la cavi nemmeno senza la sicurezza (...). Quando parte la sicurezza, partono varie altre cose. Cadi in depressione. Cominci a temere la pagina, le parole, l’inutilità di mettere le seconde sulla prima. Era come un pilota che sta perdere la brocca: il veterano di migliaia di atterraggi bloccati e lacci catapultati - volevo dire lanci - che non ci riesce più”. Ognuno, prima o poi, deve fare i conti con lo spazio separato della sua personalissima nave. O portaerei che sia.
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