L’Academiuta di Pasolini scuola speciale in friulano come lingua della poesia

Settantacinque anni fa, il 18 febbraio 1945, nasceva il cenacolo fondato dal poeta a Versuta cui prese parte il cugino Nico Naldini, altri amici e i suoi allievi. Oggi a Casarsa il ricordo 

l’intervista



Compie oggi 75 anni l'“Academiuta di lenga furlana”, che Pier Paolo Pasolini fondò il 18 febbraio 1945 in occasione di uno degli incontri con i ragazzi che frequentavano la “scuola” da lui animata nel borgo di Versuta. L'anniversario verrà celebrato attraverso una serie di iniziative promosse dal Centro studi Pasolini di Casarsa, a partire da un ricordo ufficiale, questo pomeriggio alle 17.30, con una cerimonia a Palazzo Burovich De Zmajevich nella sala consiliare del Comune, alla presenza della sindaca Lavinia Clarotto, del presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin e del presidente del Centro studi Piero Colussi. Tra gli ospiti dell’incontro, che porteranno il loro diretto ricordo di quella breve ma intensa esperienza culturale, ci saranno il fotografo Elio Ciol, che immortalò il momento della fondazione dell'Academiuta in un celebre scatto, realizzato quel giorno davanti alla chiesa di Sant'Antonio Abate di Versuta, e Giuseppe (Nini) Bertolin, uno dei ragazzi dell’Academiuta ritratti in quella fotografia.

Come simbolo dell’Academiuta (da uno schizzo di Rico De Rocco), un cespo di dolcetta o “ardilut”, che riporta il motto “O cristian furlanut plen di veça salut”, mentre come lingua venne eletto il friulano occidentale, nel quale – scrisse Pasolini annunciando l’atto di fondazione – «troviamo una vivezza, e una nudità, e una cristianità che possono riscattarlo dalla sua sconfortante preistoria poetica». Così ancora Pasolini: «Mi piace ricordare quelle nostre riunioni poetiche come una specie di Arcadia, o con più gioia, una specie molto rustica invero, di salotto letterario». Racconta Nico Naldini nel suo libro Pasolini, una vita (Einaudi, 1989): «Le riunioni dell’Academiuta avvengono ogni domenica pomeriggio nella stanzetta di Versuta e ciascuno degli accademici legge le sue nuove poesie; Pina suona il violino e Pier Paolo legge i versi di un poema in ottave, Il Tancredi».

Proprio di Naldini, cugino di Pasolini e certamente la figura di maggior spicco tra quanti frequentarono l’Academiuta, sarà tracciato, nell'evento di oggi, un profilo da Francesco Zambon, professore emerito di letteratura all’Università Trento. Francesca Cadel, docente di letteratura all’Università di Calgary in Canada, e Rienzo Pellegrini, già docente di Lingua e letteratura friulana e Direttore del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Trieste, ripercorreranno invece la memoria dell'Academiuta. E a Pellegrini abbiamo chiesto di anticiparci qualcosa.

Professore, perché la data di oggi è significativa?

«Perché la nascita dell'Academiuta formalizza una realtà in atto da tempo, che inizia con la composizione e con la pubblicazione del 1942 della prima raccolta poetica pasoliniana, Poesie a Casarsa. L'Academiuta sanziona in modo ufficiale un percorso che maturerà nel tempo: è dunque una data che riassume e rilancia».

Qual è stata l'importanza dell'Academiuta?

«L'esperienza dell'Academiuta è stata particolarmente importante in termini formativi e culturali, in particolare per i “poeti dell’Academiuta”, che riuscirono a concretizzare questi loro primi passi creativi con successive pubblicazioni delle loro opere poetiche. A testimoniarlo restano le uscite dei numeri della rivista Stroligùt e, sempre sotto l’egida delle edizioni dell’Academiuta, i volumetti Diarii (1945), I pianti (1946) e Dov’è la mia Patria (1949) di Pasolini, Seris par un frut (1948) di Nico Naldini e A Sonia (1946) di Luciano Serra. L'esperienza, comunque, si sfalderà già nel '47, anche se le sue pubblicazioni continueranno ancora per due anni».

C'era anche una dimensione pedagogica?

«Certamente: in quel cenacolo letterario confluiscono i ragazzi che hanno avuto il privilegio di avere Pasolini come insegnante e anche persone più mature, che comunque lo vedevano come un punto di riferimento per il proprio lavoro letterario».

Che cosa sappiamo di come si svolgevano quelle riunioni?

«Pasolini e i suoi adepti si riunivano di domenica pomeriggio per leggere e commentare i testi poetici in friulano che loro stessi scrivevano. Le testimonianze sono di Pasolini e di altri giovani di allora che poi ne hanno scritto: tra gli altri, Nico Naldini, Toniuti Spagnol, Ovidio Colussi, Bruno Bruni. Si tratta di memorie non passibili oggi, a distanza di tanto tempo, di un accertamento rigoroso, ma si tratta comunque di documenti molto interessanti, utili a ricostruire il contesto, il clima umano e culturale».

Come si è evoluto nel tempo il rapporto di Pasolini con il friulano?

«All'altezza cronologica di Poesie a Casarsa il friulano è per Pasolini, come lui stesso si è espresso, una "lingua pura per poesia", cioè una lingua costruita a tavolino, in qualche misura un idioma irreale, che non aveva un riscontro nella parlata locale. Poi però il trasferimento a Casarsa alla fine del '43 determinò in Pasolini un assorbimento diretto del friulano effettivamente usato dalla gente, e dunque la lingua delle raccolte poetiche successive sarà più aderente alla realtà. Anche se Pasolini non aveva comunque un intento documentario, le sue poesie presenteranno così una loro verità documentaria». —

Riproduzione riservata © Il Piccolo