LaChapelle da Los Angeles a Trieste: «Uso l’arte come un balsamo: un antidoto al nostro mondo decaduto»

LaChapelle sarà a Trieste per l’inaugurazione. «Sono emozionato»
Agnese Baini

TRIESTE A Los Angeles è ancora mattina. Il fotografo David LaChapelle ammette, sorridendo, di essersi appena svegliato e si scusa per i capelli ancora scompigliati. Ha un tono tranquillo, fa qualche battuta prima di iniziare l’intervista. È molto gentile nelle risposte e si muove con tranquillità mentre parla della sua arte, del rapporto con la religione e di come riesce a trovare l’ispirazione per creare opere originali e innovative. Sembra strano ascoltarlo mentre racconta di quanto gli piaccia passeggiare nei boschi, se si pensa che ha fotografato star come Madonna, Leonardo DiCaprio, Angelina Jolie e tante altre.

David LaChapelle, Foto Archivio Agf
David LaChapelle, Foto Archivio Agf

Chiede se a Trieste pioverà nei prossimi giorni, quando arriverà in occasione dell’inaugurazione della sua mostra personale, “Fulmini”. Non è mai stato in questa parte d’Italia, confessa, e proprio per questo è emozionato per l’apertura del 22 aprile al Salone degli Incanti.

Come ha scelto il titolo Fulmini?

«Il fulmine è il flash di una fotografia: quando arriva l’ispirazione, riesce a catturare quel momento. La mia idea per questa mostra è di una luce che viene dal cielo e che ha il potere di illuminare la terra».

E come mai ha scelto una parola in italiano?

«Mi piaceva, credo che suoni meglio che in inglese!».

Che cosa viene raccontato in questa mostra?

«Narro molte storie diverse, contemporaneamente. Voglio dare un quadro del mondo in cui viviamo, in cui la brevità della nostra vita si confronta con la vita trascendentale che viene dopo, come il Paradiso. Quindi si possono vedere paesaggi, così come fotografie che portano direttamente nel mondo degli spiriti».

Con le sue opere, ha in un certo senso re-inventato la religione. Ha preso elementi dell’iconografia cristiana tradizionale e li ha trasformati completamente. Quando è iniziato questo suo rapporto con la religione?

«Già quando ero piccolo ero attratto dalla religione, mi pare di aver sempre cercato di sentire la presenza di Dio e i quadri che dipingo riflettono la gioia che provo in questa ricerca. Quando creo immagini, accadono così tante cose che posso solo pensare che siano dei miracoli. Come se Dio lavorasse attraverso di me nella creazione».

La religione è una parte fondamentale della sua vita?

«Ripongo la mia fiducia in Dio, non nei politici. Se gli voltiamo le spalle, siamo perduti, lo abbiamo già visto... Siamo progrediti con la tecnologia, ma non siamo affatto progrediti spiritualmente o moralmente dai tempi antichi. Ora sto trovando sempre di più Dio anche nella natura, nella foresta».

È molto importante per lei stare a contatto con la natura?

«Devo avere sempre degli alberi vicino! Anche quando ero piccolo, mi ricordo che andavo sempre nei boschi ed è qualcosa che continuo anche ora a fare. È come se mi aiutasse a orientarmi nella vita. Per me la foresta è una specie di cattedrale e, infatti, anche lì, mentre sono solo a camminare nel bosco, ho la sensazione di connettermi con Dio. E mi ispira molto stare nella foresta, mi fa stare bene, è calmante».

Lei è famoso per aver creato fotografie con set spettacolari, originali. Può raccontare il lavoro che c’è dietro lo scatto?

«Ogni set è diverso ma, ogni volta, mi immagino di essere in un teatro. Lavori per mesi per creare il set, crei modellini, immagini la scenografia. E poi arriva il giorno del servizio e si scatena in tutti l’adrenalina. Hai le prime ballerine, la diva dell’opera oppure la star del tabloid e quando queste persone entrano nella scenografia, allora lì, in quel momento, accadono magie! Le persone iniziano a portare i loro talenti e la loro creatività e tutto diventa ancora meglio di quanto avevo progettato. Perché quando collabori con persone di talento, possono accadere magie».

Qual è l’ultima opera su cui ha lavorato?

«Abbiamo appena realizzato questo progetto che uscirà a settembre, sulla Via Crucis. È stato molto emozionante, tutto concentrato sul togliersi di mezzo e lasciare che le cose accadano spontaneamente».

E come arriva l’ispirazione?

«Una mattina mi sveglio con l’ispirazione e mi pare che venga dal cielo, perché non può venire da dentro di me, dal mio cervello. Viene sicuramente da un posto migliore. Altre volte, invece, non ho ispirazioni per settimane o mesi. E poi tornano, arrivano ondate di ispirazioni, per esempio, mentre cammino. E devi lasciarle entrare dentro di te».

Ha iniziato scattando fotografie che parlavano, negli anni ‘80, dell’epidemia di Aids. Pensa che l’arte possa avere ancora oggi un ruolo politico?

«L’arte è sempre una testimonianza del tempo in cui si vive. Io uso l’arte forse più come un balsamo, una specie di antidoto al mondo decaduto in cui ora viviamo. Viviamo in questo mondo precario, abbiamo le guerre, l’estinzione, il clima che cambia. Non si può pensare al futuro perché crea ansia. L’arte ci aiuta a superare tutto questo: è una protezione, una fuga in un luogo migliore».

Ha sempre avuto questo ruolo l’arte?

«Credo che la storia dell’arte sia storia vera e propria. Perché l’arte svela i valori della società, di ciò che la società in quel momento pensava. Ci racconta tantissimo del mondo. L’arte è il narratore della storia».

Qual è uno dei suoi pittori preferiti?

«I dipinti come quelli di Botticelli sono ancora rilevanti oggi: ci parlano del Dio della guerra e della Dea della Bellezza e dell’amore e del conflitto che c’è tra loro. E ancora oggi abbiamo a che fare con queste tensioni».

Lei ha lavorato per molto tempo nel mondo della moda. Come è riuscito a unire questo mondo con quello di cui parla, con l’aspetto religioso?

«A lungo ho pensato fossero due mondi separati e molto diversi, ma ora mi paiono più come parti integranti della mia storia. Non voglio assolutamente scartare il lavoro che ho fatto con i musicisti o con i personaggi famosi che compongono il mondo di oggi. Credo che se le opere religiose e quelle, diciamo, laiche, si uniscono sono più forti. Non può esserci soltanto il mondo religioso senza l’attrazione verso il mondo materiale. Questa tensione tra il mondo materiale e spirituale mi attrae».

E come lavora per rappresentare questa tensione?

«Voglio realizzare opere che portino luce nel mondo, un po’ di evasione e anche di umorismo. Voglio aggiungere bellezza al mondo, non altra confusione, di quella ne abbiamo già abbastanza! E c’è anche già abbastanza oscurità. Voglio dare chiarezza e colori, una narrazione che tocchi le persone. Voglio creare opere d’arte che diano nutrimento, come fa spesso anche la musica».

Quanto conta nella sua vita la musica?

«È stato un privilegio per me fotografare tanti grandi musicisti, persone che sono cresciuto ascoltando, come Stevie Wonder o Elton John. Ho fotografato i cantanti che hanno fatto la musica che ho amato da bambino!».

Aggiungerei che ha fotografato cantanti amati da diverse generazioni di bambini, da Eminem a Miley Cyrus...

«La musica mi ricorda che, come artisti, non possiamo essere solo creatori, ma dobbiamo metterci anche nei panni del pubblico. Dobbiamo ricevere quello che altri hanno lavorato per creare. E i grandi artisti possono davvero influenzarci in modo positivo, possono aiutarci e ispirarci».

Lei ha fotografato tantissime icone del nostro mondo ma, al tempo stesso, lei stesso è diventato ormai un’icona per l’arte e la fotografia. Come vive questa esperienza?

«Non ci avevo mai pensato... Non so se mi sento un’icona. So però di essere molto fortunato a poter creare qualcosa che molti artisti non hanno la possibilità di fare, perché vivono in un paese dove c’è una guerra o perché faticano a portare il cibo in tavola alla propria famiglia. Sento che sono una persona con un privilegio e una benedizione, e non voglio sprecarla. È un dono avere le capacità creative e avere le possibilità di esprimerle».

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