Lady Mary, femminista del ’700 «La cultura fa felici, non il marito»

Il delizioso epistolario della signora Wortley Montagu curato da Masolino d’Amico racconta una “liberale” del XVIII secolo, che dà consigli alla figlia sull’educazione
Di Roberto Bertinetti

Era una donna bellissima, tra le più affascinanti del suo tempo. Amica di Voltaire, di Gibbon e di Pope, Lady Mary Wortley Montagu viaggiò a lungo in Europa e in Turchia, dove suo marito fu nel 1716 ambasciatore a Istanbul, prima di approdare in Italia nel 1739 inseguendo il sogno di un amore impossibile per Francesco Algarotti, colto omosessuale conosciuto a Londra. E nella campagna bresciana rimase sino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nella capitale britannica nel 1762, inviando deliziose lettere alla figlia ora proposte dalla Adelphi a cura di Masolino D'Amico ("Cara bambina", 312 pagine, 16 euro). L'epistolario di questa dama del Settecento, arguta e coltissima, ne prova l'intelligenza e la capacità di smentire ogni luogo comune allora condiviso in termini di educazione della prole e di presunta inferiorità del genere femminile.

In proposito sottolinea spesso la libertà di cui godono le signore italiane rispetto alle britanniche. «Non c'è altra parte del mondo dove il nostro sesso sia trattato con tanto disprezzo come in Inghilterra. Qui tutte le maggiori famiglie sono fiere di aver prodotto artiste o scrittrici e una dama milanese è diventata addirittura professore di matematica all'università di Bologna», rileva. Spesso ricorda episodi di cui fu testimone nei salotti londinesi, ma non mostra alcun rimpianto per il passato. Al contrario, apprezza la solitudine e in più di una circostanza rivela particolari della sua esistenza in campagna: «Il mio stile di vita è regolare al pari di quello di un monastero. Mi alzo alle sei e appena fatta colazione mi metto alla testa delle mie sarchiatrici e lavoro sino alle nove. Poi ispeziono la cascina e faccio un giro tra il pollame. A momento ho 200 polli, oltre a tacchini, oche e anatre. Tutto qui è prosperato grazie alle mie cure».

Quando non è impegnata nei lavori agricoli trascorre molte ore a leggere i romanzi che la figlia le invia. Scopriamo così che apprezza Fielding, che detesta le storie strappalacrime di Richardson e che nutre un odio profondo verso Swift che così motiva: «Quando un linguaggio ironico e irrispettoso viene da un individuo che gode benefici dalla stessa Chiesa che ampiamente disprezza, la cosa è di un orrore per il quale mi manca il nome». Alla figlia, madre di molte ragazze e coniugata con un futuro primo ministro, invia in numerose circostanze consigli sull'educazione delle adolescenti: «Abituale ad apprezzare la cultura, che le renderà non solo contente ma felici e impedirà loro di idolatrare le nuove mode o di rimpiangere la perdita di divertimenti costosi. E non far credere loro che potranno realizzarsi grazie al matrimonio. Perché le unioni infelici sono più numerose di quelle felici, nonostante le nozze siano un passo necessario».

Difficile trovare un'aristocratica del XVIII secolo di vedute tanto avanzate, libera nelle opinioni eppure sempre discreta nell'esprimerle. La fama di cui ancora gode arrivò dopo la morte, con l'uscita delle lettere inviate in patria dalla Turchia, primo resoconto della vita quotidiana nella metropoli ottomana. Di lei, in seguito, Lytton Strachey disse: «È assolutamente franca e assennata, il suo spirito ha quella qualità che è il miglior antidoto contro la piattezza». Si tratta di doti dimostrate anche in questo incantevole epistolario, preziosa intesi delle idee di una donna di impareggiabile intelligenza.

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