L’album di Trieste fotografata alla vigilia della Grande guerra

di CLAUDIO ERNÈ Confrontarsi con il mito dell'Austria Felix. Mettere in riga e valutare i dettagli della Belle Époque in quello che veniva chiamato il Litorale austriaco. Raccontare gli episodi più...
Di Claudio Ernè

di CLAUDIO ERNÈ

Confrontarsi con il mito dell'Austria Felix. Mettere in riga e valutare i dettagli della Belle Époque in quello che veniva chiamato il Litorale austriaco. Raccontare gli episodi più significativi accaduti a Trieste, Gorizia e Monfalcone tra il 1900 e la fine del luglio 1914 quando l'Europa si infilò in un conflitto che avrebbe provocato nei successivi quattro anni dieci milioni di morti e le avrebbe tolto la centralità nella scena politica mondiale.

È questo il motivo conduttore del libro che Il Piccolo dal 21 ottobre al 6 novembre regalerà ai propri lettori, curato da chi scrive con la collaborazione di Pierluigi Sabatti e i contributi dei giornalisti Arianna Boria e Roberto Covaz e del direttore dell’Irci, Piero Delbello. Il volume ha per titolo "Sull'orlo dell'abisso, aspettando la grande guerra". I singoli fascicoli usciranno per tre settimane ogni martedì, mercoledì e giovedì e nelle 216 pagine sarà proposto per la prima volta al pubblico un consistente numero di immagini d'epoca emerse di recente da un archivio a lungo dimenticato. Molte sono state realizzate da un fotografo senza nome che ha raccontato con grande freschezza e spontaneità la vita degli anni che precedettero il primo conflitto mondiale. Questo autore ha ripreso la città e i suoi abitanti senza alcuna retorica e formalismo, puntando l'obiettivo della sua fotocamera a lastre sui frequentatori dei caffè e delle vie del centro, sul lavoro delle donne nei mercati, sul pubblico benestante che frequentava l'ippodromo, sulle balie con in braccio i bambini, sui comandanti dei vaporetti e dei piroscafi sui protagonisti di quella stagione segnata dall'Irredentismo.

Le fotografie sono state scattate con un "taglio" anomalo per quell'epoca, un "taglio" che sarebbe stato adottato almeno trent'anni più tardi con la comparsa sul mercato di un piccolo apparecchio che si chiama "Leica" e che ha segnato la storia del reportage fotogiornalistico. Nel libro compaiono inoltre molte immagini realizzate da Francesco Penco, Giuseppe Wulz, Francesco Benque ed altri autori entrati da tempo nell'iconografia del nostro Paese.

Ma andiamo con ordine tenendo ben presente come Trieste, Monfalcone e Gorizia, si evolvono a partire del 1900. La velocità del cambiamento è enorme e la cosiddetta modernità entra in scena con lo stesso fragore dei treni che dal porto di Trieste partivano per il cuore industriale dell'Impero. Nuove fabbriche, scuole, stazioni, alberghi, ospedali, transatlantici vengono costruiti a tempo di record, partendo da un "Livello zero", rappresentato idealmente dai primi giorni dello scorso secolo.

Nel 1900, inteso come anno, Trieste era diversa dalla città che conosciamo oggi. Molti lineamenti erano già definiti, altrettanti non avevano preso ancora forma. Le rive erano molto più strette, il mare arrivava più vicino alle case e ai palazzi, non esisteva la Pescheria centrale con la sua inusitata forma di basilica, la Stazione marittima era solo un'idea racchiusa nella mente di qualche architetto o amministratore pubblico. L'albergo Excelsior doveva essere costruito, il Palazzo del Governo in piazza Grande non es. isteva, come non esistevano le due gallerie che da piazza della Legna, ora Goldoni, consentono oggi un veloce trasferimento dal centro al rione di Ponziana e alla torre del Lloyd. Non esisteva il frenocomio di San Giovanni e la stazione di Campo Marzio doveva essere ancora costruita. Trieste nel 1900, aveva un solo porto, quello che oggi si chiama "vecchio": il sistema di tre dighe non proteggeva ancora il vallone di Muggia dalle onde sollevate dai venti meridionali. Il tram di Opicina non esisteva. A Trieste non c'era l’università e i ragazzi che volevano laurearsi erano costretti a trasferirsi a Graz, a Padova o a Vienna. Il carcere era ospitato nel collegio dei Gesuiti e la strada che chiamiamo "costiera" si fermava a Grignano. Il Monte di pietà sarebbe stato costruito tra il 1902 e il 1905, palazzo Artelli, ora in totale e colpevole abbandono sarebbe stato eretto nel 1905, la Scala dei Giganti nel 1907, il Creditanstalt, poi Banca Commerciale nel 1910, il palazzo della Ras - Riunione adriatica di Sicurtà nel 1913.

Al contrario Trieste nel 1900 aveva più teatri, più orchestre, più cantieri navali e fabbriche: il "San Marco", l'"Arsenale del Lloyd austriaco", il "Cantiere San Rocco", la "Fabbrica macchine Sant'Andrea"; e poi lo jutificio triestino, la fonderia che nel 1911 avrebbe preso il nome del proprietario, l'ingegner Eugenio Osvaldella. La fabbrica di birra di Anton Dreher era un modello di efficienza, Gioacchino Veneziani aveva messo a punto nel suo stabilimento una vernice sottomarina antivegetativa adottata per le proprie navi da battaglia non solo dalla Marina austriaca ma anche dall'Ammiragliato britannico. Si potrebbe continuare a lungo perché il numero delle fabbriche in attività 140 anni fa era smisurato, difficile da inserire in una pagina. In alcune pagine del volume compaiono scritti poco conosciuti di Virgilio Giotti, Julius Kugy, Biagio Marin, Silvio Benco, Scipio Slataper, ma anche di giornalisti che nei primi anni dello scorso secolo hanno lavorato per Il Piccolo, L'Indipendente e Il Lavoratore, l'unico quotidiano in lingua italiana presente nelle edicole durante la Grande Guerra. Viene anche pubblicata per la prima volta la lettera che un giovane muggesano che studiava Medicina all'Università di Vienna, inviò nel 1913 alla fidanzata triestina. In questa lettera vengono raccontati con molti dettagli due episodi di violenza di cui furono vittime nella capitale austriaca gli studenti ebrei. Contro di loro si scagliarono, armati di bastoni, studenti tedeschi che si definivano "nazionali" e che si ispiravano alle idee antisemite propagandate da Karl Lueger, il sindaco di Vienna di cui Francesco Giuseppe annullò per tre volte l'elezione. Ma che fu costretto ad accettare come borgomastro all'esito della quarta votazione anche sull'onda delle pressioni esercitate dal Nunzio apostolico in Austria.

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