L’altra metà di Einstein in scena la fisica Mileva a cui fu tolta anche la parola

Lo hanno battezzato “effetto Matilda”, dopo averlo studiato e riscontrato non di rado nella storia: indica la sistematica negazione dei risultati conseguiti, in particolare nel mondo scientifico, dalle donne, andando ad attribuirne i meriti ai colleghi uomini. Non un discorso che attiene a una scarsa qualità scientifica quindi, ma unicamente per motivi di genere. Un fenomeno inquietante di cui Ksenija Martinovic, autrice e interprete, porterà in scena domani alle 20.30 al Teatro Miela per S/paesati uno degli esempi più eclatanti: serba come la donna che va a narrare, la giovane autrice racconterà "Mileva" Marić, scienziata e prima moglie di Albert Einstein, in uno spettacolo prodotto dal Css di Udine e scritto da Federico Bellini.
Provocatorio già da quel titolo, "Mileva", a evocare quando le donne vengono chiamate per nome per svalutarle. «Se in scena impersono una ricercatrice - spiega Martinovic - è perché abbiamo effettivamente iniziato facendo molta ricerca, partendo dalle lettere che si sono scritti Marić e Einstein quando erano compagni di università a Zurigo - lei prima donna ammessa al corso di fisica -: è molto chiaro che lì si confrontano su temi legati alla fisica. Il libro s'intitola "Lettere d'amore" ma in realtà sono lettere sulla scienza: era quello il loro primo amore. Da lì nasce spontaneo il tentare di capire il contributo di lei soprattutto negli anni memorabili di Einstein, a partire dal 1905, nel pieno di un matrimonio felice: molti storici ritengono infatti che ci sia stato un lavoro scientifico importante, nella teoria della relatività, da parte di Mileva».
Una questione che appassiona da anni, con tesi contraddittorie. Impossibile stabilire però, almeno con i documenti finora in nostro possesso, la verità, spiega l'autrice. «Non si riesce a trovare a livello scientifico qualcosa che lo provi, anche per il fatto che coinvolge un personaggio così tanto conosciuto, quasi un'icona pop. Quindi è una domanda aperta che lo spettacolo lascia. Così siamo partiti dalle lettere, da una cosa molto concreta, l'unica cosa vera che abbiamo».
«Volevamo trovare - continua - un linguaggio corretto rispetto al processo di lavoro che c'è stato: lavoro lungo e complesso, dove abbiamo affrontato materiale non tradotto dal tedesco, dall'inglese. Mi piaceva l'idea di trattare anche questa figura della ricercatrice che diventa ossessionata da questa storia: cosa successa anche a me. Anche perché è una storia ancora attuale oggi, purtroppo: mi sembrava sempre più necessario e urgente dare voce a questa figura storica così dimenticata, offuscata da una figura maschile forte e onnipresente».
Mileva Marić, da Novi Sad, ebbe una vita disgraziata: non ultimo l'abbandono del marito, che sposò la cugina, lasciandola sola con due figli di cui uno disabile.
«La questione della famiglia è importante - spiega Martinovic -: se mettere in dubbio l'Einstein scienziato non avrebbe avuto senso, ecco che il discorso familiare è ben diverso. Dalle lettere esce fuori una figura di padre e marito assente e soprattutto molto violento: un lato oscuro dell'assoluto genio. C'è una lettera, che provocò in lei un crollo psicologico, con regole durissime che lui le imponeva, tra cui quella di non rivolgergli mai più la parola. È stata anche pubblicata dal New York Times: il fatto che quell'immagine dello scienziato divertito vinca sempre su tutto mi ha colpito molto. Io quella violenza la metto in evidenza attraverso il movimento: Mattia Cason, danzatore e performer, rappresenta il maschile che prende tanta forza fino a schiacciare il femminile». —
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