L’amore secondo Maggiani raccontato nella vita di un giorno e due notti

È possibile che un romanzo riesca a raccontare in un solo gesto l’intima singolarità di una vita e l’apertura metafisica di un sentimento? Del più praticato dei sentimenti, per giunta. È possibile...



È possibile che un romanzo riesca a raccontare in un solo gesto l’intima singolarità di una vita e l’apertura metafisica di un sentimento? Del più praticato dei sentimenti, per giunta. È possibile che le parole di uno scrittore trovino grazia da poeta e un’arruffata, esuberante energia da ragazzini dei cantieri navali? È possibile che un romanzo dove ogni parola è definita con scalpello d’alta precisione sia animato da una spontaneità trascinante?

Maurizio Maggiani è uno dei pochi scrittori italiani la cui pagina si riconosce inequivocabilmente già dalle prima righe. La sua scrittura è benedetta da un infallibile metronomo interiore, da una tonalità che a tratti pare essere il prolungamento diretto della geografia in cui è cresciuto, della materia stessa di cui è fatto lo scrittore. Il suo nuovo romanzo, “L’amore” appena uscito in libreria (Feltrinelli, 197 pagine, 16 euro), ha la sua cifra nel titolo. Ci vuole coraggio, candore e una dose sterminata di talento per raccontare l’amore, per riuscirci con tanta naturalezza.

Senza dubbio questo è il romanzo italiano più bello che leggeremo quest’autunno, perché romanzi come questo sono un dono raro. E non solo perché la scrittura di Maggiani ci ricorda che per essere scrittori davvero bisogna aver faticato tanto, pedalato per chilometri di pagine, mandato a memoria centinaia di versi fino a confonderli con il proprio respiro, bisogna aver attraversato l’intera tradizione letteraria di una lingua ed esserne usciti vivi, con i muscoli pronti e voce ferma – e aver conservato una certa innocenza. Non solo perché nelle sue pagine c’è mezzo secolo d’Italia colto di sguincio e tutti i momenti memorabili delle nostre vite, anche quelli che non ci ricordavamo o ci vergognavamo di avere vissuto: la nostra struggente, eterna impreparazione all’amore.

Questo libro è un dono prima di tutto perché leggerlo è una felicità. La felicità pura della lettura. Roba che avevamo lasciato ai capolavori del liceo. Pensiamoci. Da quanto tempo non ci capita di leggere un libro e essere felici nell’atto stesso del voltare le pagine? Da quanto tempo non ci troviamo tra le mani un romanzo dotato di quella armonica levità che ci fa procedere di capitolo in capitolo appagati, incantati?

Maggiani racconta una vita in un giorno. Un giorno intero e due notti, fino al risveglio successivo. Ci sono due sposi, due sposi qualunque, un maschio e una femmina. Condividono ormai da anni molte cose, la casa nuziale, i riti, la particolare cura che ognuno riserva all’altro, il giardino con la quercia, l’orto e le rose di Santa Rita, le preferite dello sposo. E in questo tempo breve, misurato, lo sposo racconta. A se stesso e alla sposa. Racconta gli amori della sua vita. Lo sposo ha molta vita alle spalle, per questo adesso può guardare la sposa che dorme ed essere sicuro che la propria natura, più incline alla pronta partenza che al ritorno, si è acquietata e può ora amare senza riserve.

C’è un gesto, a mio avviso, che lavora in tutte le pagine di questo romanzo e lo rende quel dono raro che è. È un gesto eminentemente letterario: Maggiani prende i dettagli piccoli e i sentimenti comuni – una discesa in bicicletta, il bacio su un terrazzino sul mare, una canzonetta alla radio, chiudere gli occhi e dire ti amo e pensare di averlo detto malissimo, saper tagliare una fetta di pane – prende tutti questi fatterelli e frammenti di vita e li fa rimbalzare nella lingua, nello sguardo della letteratura. E così ogni cosa prende senso. Ogni singolarità diventa universale.

Quasi non ce ne rendiamo conto, presi dalla naturalezza e dalla bellezza della narrazione, ma Maggiani sta facendo una cosa audace e sconsiderata. Riprende i fatterelli della vita dello sposo, il suo amore da figlio del popolo per la Padoan, la giovane scout a cui vorrebbe dire ti amo, fa mille prove girato dall’altra parte, ti amo ti amo ti amo, ma poi lascia perdere. I pomeriggi di perfetta solitudine dei sedici anni, a consumarsi di noia e languore. Gli amori per le luxemburghiane bellissime loro malgrado, o per le compagne da non offendere con la fascistoide pretesa di desiderarle. I pomeriggi in giro con un sacchetto di tela militare, un libro, le sigarette e un limone da sommossa, perché quelli erano i tempi. Maggiani prende tutti questi momenti di una vita e trova una lingua nuova, piena di pietà e candore, e ci racconta l’amore. In un’unica mossa libera la parola amore dalle interdizioni degli anni Settanta e dall’usura del nuovo secolo e le ridà un senso. È questo che dovrebbe fare la letteratura, ma è talmente difficile che raramente accade, ancor più raramente accade in un libro che si legge così felicemente.

Il talento di Maggiani è abbagliante, eppure non soffoca mai la pagina. Scivola in dettagli che notiamo appena. Nella disinvolta spontaneità con cui passa dalla terza alla prima persona, un “io” che è discredo alter ego dello sposo, compare per mettere qua e là un accento più intimo e con discrezione scompare. Nell’equilibrio di certe frasi. Come quando la sposa scrive un sms per sapere se c’è bisogno che prenda qualcosa al mercato e lo sposo non ha bisogno di niente in particolare, la casa è satolla, ma si ricorda che non è bello non avere bisogno di niente. “Questo innanzitutto per rispetto all’amore della sposa, l’amore ha costante bisogno di portare qualcosa che manca, di dare quello che non c’è. Così digita, due sedani bianchi belli carnosi amata mia”. Inutile dire che una verità così inaudita sull’amore è possibile dirla solo grazie ai due sedani bianchi belli carnosi, forse è proprio da lì che arriva.

Queste due notti e un giorno sono anche la storia di una nazione. La scuola media unificata, gli operai che iniziano a fare gli straordinari, le sale da ballo con il twist. Poi l’anarchia, che non ha parole per dirsi ma solo fatti, e la rivoluzione. I funerali senza bara in tutte le città d’Italia, dove un intero popolo piange quello che era il nemico per eccellenza della rivoluzione eppure la sua morte, il popolo lo capisce, chiude un’epoca di sogni e giovinezza. Lo sposo è un monumento alla storia dell’Italia, per questo vanno a trovarlo i giovani comunisti, perché lui è un vecchio che non si vergogna di essere stato giovane e loro vogliono sapere da lui cos’era il comunismo. Era pedalare e pedalare e faticare in salita, dice, era metterci la massima attenzione possibile. Gliel’aveva insegnato la Chiaretta, amore suo luxemburghiano. Chiaretta che ora è diventata la maestra di questi giovani comunisti, ma lo sposo sa che lei non gli ha detto l’unico insegnamento che valesse la pensa essere tramandato: gliel’hai detto Chiaretta che eravamo innamorati? La loro scandalosa verità. Vorremmo leggerlo lentamente questo libro, ma c’è una grazia lieve nelle sue pagine che ci trascina avanti, un languore per tutto quello che è stato e non è mai venuto a mancare. E la pietà con cui lo sposo ricorda non è mai velata da nostalgia, ma piuttosto da una candida, insopprimibile innocenza. Quella del giovane figlio del popolo che prova e riprova girando la testa dall’altra parte. Ti amo ti amo ti amo ti amo. —





Riproduzione riservata © Il Piccolo