L’angusto Metro Cubo tanto amato da Joyce dove si pagava l’amore

di RENZO S. CRIVELLI
A metà ottobre del 1919 James Joyce ritorna a Trieste dopo aver trascorso gli anni della Grande guerra a Zurigo, lontano dai fragori e dal fronte (a "limarsi le unghie", come qualcuno dei suoi detrattori ebbe a scrivere), e finisce in un appartamento di via della Sanità 2 (ora via Diaz). Come è noto, nella Trieste ormai italiana non si trova più (la città ha perso irrimediabilmente la sua allure multiculturale e multilinguistica). E infatti resisterà in via della Sanità solo otto mesi, per poi recarsi a Parigi.
Il viaggio nella capitale francese era stato concepito come una semplice gita ma, come sappiamo, il richiamo internazionale della “ville lumière” lo affascinerà al punto da indurlo a restare. Molte cose, del resto, le aveva lasciate indietro a Trieste, tra cui gli appunti necessari a continuare l'avventura dell'Ulisse, e così fu costretto a scrivere all'amico Italo Svevo per invitarlo a spedirgli una borsa «legata con un nastro elastico color pancia di monaca», contenente molti dei suoi manoscritti.
La lettera, datata 5 gennaio 1921, stilata in parte in puro dialetto triestino (l'originale si trova al Museo Sveviano), allude proprio a via della Sanità.
«C'è a Trieste nel quartiere di mio cognato - vi si legge nell'esordio - l'immobile segnato col numero politico e tavolare di via della Sanità 2, e precisamente situato al III piano del suddetto immobile in parola e prospettante i postriboli di pubblica insicurezza...».
"Pubblica insicurezza": il riferimento scherzoso è sicuramente alla via della Pescheria, parallela interna di via della Sanità, una via che a quell'epoca contava un certo numero di postriboli. E lui, Joyce, che di "casini" triestini (e dublinesi) se ne intendeva, abitava al terzo piano dell'edificio che copriva i due lati delle vie, e la sua camera aveva un finestra che guardava proprio sulla viuzza frequentata dalle prostitute. Da quella finestra, infatti, lo sguardo calava inesorabilmente sul via vai dei clienti di uno dei bordelli, quello situato al numero civico 7, chiamato "Il metro cubo" per le sue anguste stanzette, dove, sosteneva qualche buontempone, l'amore si era costretti a farlo in piedi... Era dunque quello il "luogo di pubblica insicurezza" a cui alludeva a Svevo.
Anni fa, nel 1996, quando il Comune e l'Università di Trieste affissero, per illustrare gli "Itinerari triestini" di Joyce, ben 40 targhe sui luoghi più rilevanti della sua vita triestina (si veda il volume “James Joyce: Itinerari triestini/Triestine Itineraries, Mgs Press, pagg. 253), fu prevista anche una targa che ricordava il "Metro cubo", targa che però non fu collocata per via delle disastrose condizioni in cui si trovava l'abitazione.
Ora, a distanza di vent'anni, quella casa è stata ristrutturata e risanata (suddivisa in molte mini-abitazioni private) e la prima assemblea condominiale, all'unanimità, ha reclamato la "sua" targa, riconoscendo l'importanza della presenza del grade scrittore irlandese nella nostra città (con le sue luci e le sue ombre). Come ci ha detto Luciano De Marchi, condòmino di via della Pescheria 7, «sapevamo che nell'itinerario joyciano era presente il "Metro Cubo", e ritenevamo che la mancanza della targa fosse uno "sgarbo" soprattutto nei confronti di quei turisti che a Trieste desiderano riscoprire aspetti che sono propri della cultura e della tradizione asburgica. Oggi Cavana è il salotto della città, il centro storico per definizione ed anche il cuore della "movida" cittadina, ma non possiamo dimenticare che un secolo fa era "storicamente" il quartiere più malfamato, con annessi e connessi... La nostra targa ci voleva!».
La presenza di quel bordello, al numero 7 di via della Pescheria, è anche confermata da una Relazione della polizia italiana, pochi mesi dopo la fine della Grande Guerra, e il luogo viene così illustrato: «Cinque piani, due stanze per piano, una cucina e un soggiorno, una sala d'attesa, acqua corrente, un solo wc, un bagno, e una stanza per le visite mediche».
La notizia proviene da una straordinaria ricerca di Erik Schneider, uno studioso naturalizzato triestino che ha dedicato tutto se stesso a Joyce, il quale, in un ponderoso quanto affascinante studio, elenca addirittura i nomi delle donne che vi operavano nel 1910, tratti dal censimento ufficiale austriaco (si veda Zois in Nighttown, Prostitution and Syphilis in the Trieste of James Joyce, Ashgrove Publishing, London, pp. 502).
La targa del "Metro cubo" sarà "scoperta" domani alle 11.30 in via della Pescheria, con una prolusione su quel luogo e sulle implicazioni joyciane.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo