L’architetto Boris Podrecca: «Trieste vista da Vienna sempre più internazionale»

l’intervista
Trieste a 360°. Con amore ed equilibrio. È completo, affascinante e frutto di analisi attenta, il volume intitolato “Triest. Das Hafen Mitteleuropas” (Il porto della Mitteleuropa), uscito dall’editore viennese Nikolaus Brandstätter (pagg. 240, Euro 50,00) a cura di Peter Weinhäupl per la Fondazione Gustav Klimt/Wien 1900: oltre duecento pagine con numerose foto di ieri e di oggi, che raccontano la città e la sua anima in modo inconsueto e contemporaneo. Negli approfondimenti e nelle citazioni non manca quasi nessuno: da Winckelmann a Rilke a Heinichen, tra gli scrittori, dai Wülz a Cernigoj, tra i pittori e i fotografi, da Pertsch a Podrecca, tra gli architetti, ci sono i principali “attori” che hanno fatto grande la cultura di Trieste, la cui vicenda è riletta in chiave europea e internazionale più che mitteleuropea. Altri capitoli vertono su economia, architettura, urbanistica, ospitalità, cucina, politica, storia, a firma di Georges Desrues, Chiara Galbusera, Thomas Just, Giulio Polita, Matej Santi, Peter Schubert, Jürgen Weishäupl e dello stesso Weinhäupl: «piccole pietre che compongono un mosaico solido» commenta Boris Podrecca, architetto di grande fama, nato nel’40 a Belgrado, attivo a Vienna, che firma il saggio intitolato “Vita urbana in un collage”.
Chi è l’editore Brandstätter?
«Pubblica libri d’arte e cultura di alta qualità - risponde Podrecca -. Il volume è molto più denso di quanto sia stato pubblicato in tedesco su Trieste negli ultimi decenni. Non è turistico, ha due dimensioni: una è protoculturale, l’altra propone un libro con cui si può viaggiare, come Virgilio e Dante, assaporando la città».
Una struttura complessa.
«È strutturato tematicamente e, a inframezzare i saggi, c’è sempre una piccola pausa come un commento su Joyce. Fa parte di una collana di riflessione su territori che hanno ancora una forte aura asburgica, che ora si legge in senso più oggettivo, non “caramellato” e nostalgico. La collana si è occupata anche di altre città dell’epoca, come Grado, ma sicuramente Trieste è la più significativa».
Nel suo saggio interpreta l’identità di Trieste. Come la considera?
«È una città collage, composita, moderna e mercantile, non cresciuta organicamente. Da un piccolo centro medievale Maria Teresa creò una città “imposta” con i borghi teresiano, giuseppino, franceschino limitrofi al medievale e a S. Giusto e la grande piazza sul mare».
Lei paragona l’assetto urbano di Trieste con piazza Unità a quello di Lisbona con piazza del Commercio…
«Quando ho tenuto una conferenza a Lisbona, “me xè cascà le braghe” perché mi sembrava di essere in piazza Unità: avevo di fronte una piazza aperta al mare così come quando si aprono le mani e s’incontra un amico. Poiché la piazza di Lisbona era precedente e Maria Teresa non mandava architetti ma ingegneri in Europa per vedere come si fa una città marittima, sono sicuro che Lisbona è stata il modello».
Quale potrebbe essere il futuro di Trieste?
«C’è il pericolo che subisca una retrotopia (termine di Zygmunt Bauman), un senso di sradicamento che può far cadere nel mitteleuropeismo, un atteggiamento di ripiego. Sarà sommersa dalla melancolia della storia o avrà la forza di mettersi in corsia con altre città marittime? Perché adesso arrivano i cinesi che hanno comprato tutta Genova e parte di Capodistria: Trieste potrebbe diventare interessante ma non dovrebbe soccombere a capitali asiatici. E riuscirà a tenere insieme la poetica delle differenze che l’ha sempre caratterizzata?».
E il Porto Vecchio? Come vede il suo riassetto e le destinazioni d’uso?
«Se ci saranno prese di posizione di grandi gruppi come quelli cinesi e se faranno come a Genova e Capodistria, ci dovrà essere qualche spazio industriale o commerciale, un’area mercantile di gran pregio anche mista di negozi, che dovrebbe far parte della città: una polifonia di funzioni o, se questo gran salto economico non ci fosse, si possono fare appartamenti con terrazze in modo che dal mare anche di sera si veda la luce: non un pezzo di città morto ma un grande lampadario di cristallo sul mare».
…il Porto Vecchio torna alla città come un tempo, anche se in altra guisa… Quali ricordi ha del Porto Vecchio?
«Mio zio, che era di una famiglia di grandi commercianti, aveva lì dei depositi, c’era un fervore di spedizioni in America e Australia da parte degli emigranti. C’era tanta gente di Trieste e dell’Istria che partiva. Tutti piangevano, quelli sulla nave e noi sul molo. Io giocavo lì, c’erano sacchi di caffè e di tè, tabacco, un ensemble di profumi che non posso dimenticare».
Il suo legame affettivo oggi con questa “Wien am Meer” qual è?
«C’è sempre. Da via Romagna dove abitavo da ragazzo, vedevo tutta Trieste, cartoline che ti rimangono negli occhi: la Sinagoga di Berlam, la punta della chiesa anglicana, la chiesa ortodossa... A me questo “ritorno alle origini” fa molto piacere anche se con me Trieste non si è mai fatta viva».
Lei sente che da Vienna c’è una sorta di sguardo verso Trieste?
«Sempre più. Ci sono tanti austriaci che vengono a Trieste e molti vi prendono casa: diventa sempre più una meta culturale». —
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