L’arte pubblica di Garutti in un docu del triestino Penco

L'irrepetibilità dell'esperienza: è questo il concetto intorno a cui ruota il lavoro di Alberto Garutti, maestro dell'Arte Pubblica (che con lui acquista una coinvolgente dimensione narrativa),...

L'irrepetibilità dell'esperienza: è questo il concetto intorno a cui ruota il lavoro di Alberto Garutti, maestro dell'Arte Pubblica (che con lui acquista una coinvolgente dimensione narrativa), nonché titolare della cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera e docente allo Iuav di Venezia. «Fosse per me, introdurrei nelle università un corso di educazione all'emotività», dichiara. Nelle sue opere sono le storie individuali a entrare in contatto con la collettività, in maniera poetica: a Bergamo ha ideato un'installazione in piazza Dante per cui le luci dei lampioni aumentano la potenza quando nasce un bambino nell'ospedale locale, al museo Maxxi di Roma aveva progettato cinquecento lampade pronte a illuminarsi ogni volta che un fulmine cadeva sul territorio italiano. E altre sue opere si sono alternate all'Avana, a Istanbul, a Kanazawa; nel parco di Villa Manin anni fa aveva recintato un'area di verde come se la natura avesse lasciato fuori l'uomo per rivendicare la sua autonomia.

Su un artista del genere, che inevitabilmente riveste i suoi lavori di valore etico, Giampaolo Penco con la triestina Videoest ha realizzato un film documentario, "Chi è Alberto Garutti e perché parla di noi", che viene proiettato oggi alla Cineteca di Bologna in anteprima a Biografilm, festival dedicato alle biopic. Il documentario di Penco si svolge durante i preparativi per la mostra retrospettiva che il Pac di Milano ha riservato a Garutti: parlano i suoi collaboratori ed ex allievi ma anche i padroni dei cani che sono stati immortalati in statue e posti sulle panchine di Trivero, paesino ai piedi delle Alpi noto per i lanifici Zegna. «Ogni volta che si inizia un film biografico - dice Penco - è come fare un salto nel vuoto, o meglio un salto nella testa di una persona. Nel lavoro di Garutti non esistono passato e futuro, esiste solo il presente. Lui di se stesso è disponibile a mostrare solo la superficie, così ho capito che anche il mio film doveva partire dalla superficie dell'artista in maniera da far emergere via via, per sovrapposizioni con la sua vita e il suo lavoro, i collegamenti che lui aveva accuratamente evitato di fare. Non è stato facile perché la sua quotidianità che filmavo doveva far risaltare un'idea di permanenza. Il risultato finale dovrebbe esprimere un'enorme quantità di tempo compressa in un'ora». Ripercorrendo i progetti di tutte le recenti installazioni di Garutti, il documentario finisce con un'opera che consiste in una mattonella posta in luoghi di grande transito (stazioni ferroviarie, l'aeroporto di Malpensa) che dice: «Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora». In quanti la notano? Basta anche solo una persona: quel messaggio è per lei.

Corrado Premuda

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