Lazarillo de Tormes, l’anonimo padre dei picari letterari
La nuova traduzione di un classico dei secoli passati è sempre una buona notizia, perché traduzioni recenti equivalgono all'offerta di una maggiore leggibilità di testi le cui ultime versioni nella nostra lingua magari risalivano a diversi decenni fa. In questo modo è possibile togliere, per così dire, un po' di polvere e ridare splendore a grandi capolavori della letteratura mondiale. Bene, dunque, che Adelphi abbia decido di mandare in libreria un'edizione "fresca" del Lazarillo de Tormes (a cura di Francisco Rico, traduzione di Angelo Valastro Canale, pagg. 170, euro 18), apprezzabile anche per una serie di apparati, come le note esplicative e il testo originale spagnolo dato in appendice al volume.
Il Lazarillo de Tormes uscì in Spagna (precisamente a Burgos) per la prima volta quasi cinque secoli fa, eppure è un testo tutt'oggi decisamente sorprendente. Quando fu pubblicato, nel 1554, da un autore anonimo di cui non sappiamo praticamente nulla, l'opera diede origine a una vera e propria tradizione letteraria, quella del genere picaresco, caratterizzato dalla descrizione delle avventure dei cosiddetti "picari" (la stessa etimologia della parola è incerta), abili in una sola cosa: l'arte di arrangiarsi. I picari sono, come il protagonista del Lazarillo, personaggi astuti, spesso un po' furfanti, figure romanzesche forse ispirate proprio alla realtà dell'epoca, dove i poveri e i vagabondi popolavano le campagne e i dintorni delle residenze nobiliari. Tanto che ancora oggi tutto ciò che ricorda o rispecchia l'atmosfera e le situazioni libere e spregiudicate di tale genere letterario viene definito, appunto, "picaresco".
La materia del romanzo è costituita dal continuo vagabondare di Lazarillo de Tormes (dal nome del fiume che scorre presso Salamanca e sulle cui rive egli è nato), il quale per guadagnarsi da vivere passa da un padrone all'altro. Insomma, un povero disperato, collocato ai margini della società, privo di ideali e di scopi nella vita, se non quello di perpetuare la propria sopravvivenza materiale. In tutto ciò, però, il lettore si trova davanti - come scrive Francisco Rico nell'introduzione - «a una meraviglia di humor e umanità, a un torrente d'ingegno e di ironia benevola non meno che implacabile, retta com'è dalla visione di un mondo in cui tutto è relativo».
In virtù di tale visione della realtà, si può dire che questo breve romanzo è all'origine della narrativa occidentale moderna, avendo aperto la strada, insieme con il Gargantua e Pantagruel di Rabelais, al Don Chisciotte di Cervantes. Opere legate tra loro - secondo la teorizzazione dello studioso russo Michail Bachtin - dalla natura "dialogica", in quanto accolgono diverse visioni del mondo che possono anche entrare in contrasto tra loro, e "pluriliguistica", per la compresenza di lingue e stili di varia provenienza. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo