Le Illuminazioni di Rimbaud, simbiosi tra arte e vita

Paolo Ruffilli è nato a Forlì ma da molti anni vive a Treviso. Ha pubblicato romanzi, per Fazi e Marsilio, ma soprattutto è poeta, oltre che traduttore e critico. La sua ultima raccolta in versi, “Le cose del mondo” (Mondadori – Lo Specchio), ci conduce in un vero e proprio viaggio dove l’autore è osservatore impeccabile. Così osserviamo le cose, appunto, i paesaggi e le persone. Tutto diviene metafora di uno “spostamento”, fisico e mentale, partendo da indagini minime, basiche, quotidiane, fino ad aprirsi a una speculazione sul mondo e sui sentimenti che lo abitano. L’esistente è indagato da un transito in treno, dal visibile (ma anche invisibile) che si coglie al di là dei finestrini, andando ben oltre il perimetro dei corpi e degli oggetti. Sostenuto da un’abile struttura poematica, “Le cose del mondo” è un libro che Ruffilli ha composto nell’arco di quarant’anni, un work in progress iniziato negli anni ’70 e mai abbandonato.
Il suo consiglio: «Rileggo Arthur Rimbaud dietro al suo anelito a possedere ”la verità in un’anima e un corpo” che segna tutta la sua parabola fino al capolavoro delle “Illuminazioni” (recentemente uscite nella traduzione di Pierangela Rossi, Biblioteca dei Leoni) e alla conclusiva rinuncia alla scrittura poetica. Fanciullo prodigio, fece incontri determinanti, da Izambard a Verlaine. Quel che lo caratterizza è la simbiosi tra arte e vita in poesia, com’era logico per un poeta a tutto tondo come lui. Ce lo immaginiamo nei suoi vagabondaggi, con e senza Verlaine, sdraiato sull’erba, la testa rovesciata a contemplare i dettagli della natura e della civiltà. Nel suo tentativo di riconquista dell’Eden, ripercorre itinerari mistici di ogni tempo. Per lui la poesia è stata una figura del destino. Ribelle fino all’anticonformismo in epoche non sospette e poi cercatore di “pepite d’oro” grazie al suo talento e al suo genio, risulta infine ancora oggi come “l’inarrivabile Rimbaud” con cui fare i conti». —
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