Le sante nel Tempietto di Cividale un’arte longobarda aperta al mondo

Un libro d’arte che è anche un libro per una presa di coscienza civile, con venti opere d’arte, una per ogni regione italiana, riprodotte, analizzate, raccontate e contestualizzate da Tomaso Montanari, professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università per gli stranieri di Siena, e don Andrea Bigalli, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana.
“Arte è liberazione”, questo il titolo del libro scritto a quattro mani (Edizioni Gruppo Abele, pp. 144, euro 20), che attraversa l’Italia partendo dai capitelli istoriati del chiostro della Collegiata ad Aosta per arrivare alle “Sette opere di misericordia” del Caravaggio scelto per la Campania, passando dagli affreschi di Masaccio per la Toscana, la Chiesa di San Pietro di Viterbo per il Lazio, altre opere note e meno note.
Per il Friuli Venezia Giulia è stato scelto “Il sorriso delle sante longobarde”, ovvero la decorazione in stucco all’interno del Tempietto longobardo di Cividale. Risalente alla seconda metà dell’VIII secolo, è tra le più affascinanti e misteriose opere d’arte che la regione possa vantare. Se infatti il periodo di appartenenza è quello della dominazione longobarda, non è affatto chiaro chi siano stati gli artefici dell’architettura e del suo apparato decorativo. Più che di un tempietto si tratta della cappella palatina realizzata all’interno della “Gastaldaga”, la sede del “gastaldius regis”, l’amministratore del patrimonio fiscale e dei possedimenti del re longobardo a Cividale e nel ducato friulano. Da qui l’alta qualità della costruzione e la preziosità dei rilievi tra cui spiccano le sei figure femminili divise in due gruppi di tre da una monofora con archivolto finemente lavorato a motivi vegetali, un tempo arricchito di particolari colorati in pasta vitrea come le due fasce orizzontali in alto e in basso.
Proprio sulle figure femminili si ferma l’attenzione dei due autori del libro e in particolare di Tomaso Montanari il quale osserva come si tratti delle prime vere sculture fatte in Italia dopo il crollo dell’Impero romano: “una vera e propria rinascita artistica, che impone un canone di bellezza del tutto nuovo, cerebrale e come astratto”. Pur notando un’affinità con le teorie di sante bizantine quali ad esempio quelle dei mosaici ravennati, Montanari avvicina i rilievi cividalesi agli stucchi di San Salvatore a Brescia, ipotizzando che in entrambi i casi le maestranze non fossero né longobarde né italiane né bizantine, bensì provenienti da territori ancora più lontani: probabilmente artisti siro-palestinesi attivi anche in Persia e spintisi a lavorare pure in Occidente. “Pensare che gli occhi allungati delle sante di Cividale -si legge nel libro- siano stati plasmati da artisti orientali così strettamente collegati alla cultura islamica significa pensare che i Longobardi abbiano portato nella nostra storia non il seme di una identità chiusa ed esclusiva, ma al contrario il seme di un’apertura al mondo che è la vera cifra dell’essere italiani”. Perciò per Montanari entrare nel tempietto longobardo di Cividale vuol dire “liberarsi”, liberarsi da ogni falsa idea di nazionalismo che vede nel “trasferimento dei popoli” un pericolo per l’identità nazionale. E perciò nel sottotitolo del capitolo c’è la frase: “incontro è bellezza.” —
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