Le spy story dietro a Ustica e Bologna Quando la tragica realtà batte la fiction

Un «attacco terroristico non ortodosso» attuato usando i postbruciatori di un jet militare “fantasma” che sui radar appare come aereo di linea Air Malta: c’era da togliere di mezzo a tutti i costi quel Dc9 Itavia che trasportava un carico di uranio. E poi non una, ma due bombe a Bologna: una dal potenziale distruttivo ridotto collocata dai “ragazzini” dei Nar, istigati da uomini della destra legati ai servizi segreti in un periodo in cui occorreva prevenire la ritorsione araba dopo la rottura del Lodo Moro, e un secondo ordigno destinato alla rete del superterrorista Carlos. A fare da inquietante trait d’union le strutture clandestine di intelligence americane, francesi e israeliane, oltre ai sistematici depistaggi interni. Potrebbe sembrare la trama fin troppo immaginifica di una spy story ambientata in un mondo ancora dominato dalle dinamiche della guerra fredda e dai fermenti dello scacchiere mediterraneo. Ma la realtà è che oltre 160 vittime innocenti furono uccise nell’arco di poco più di un mese, tra il 27 giugno e il 2 agosto 1980.
A distanza di 40 anni il libro-inchiesta di Paolo Cucchiarelli inquadra per la prima volta in modo circostanziato una relazione tra le due stragi, suggerendo la strada per risalire ai presunti mandanti. Un puzzle inedito che prende forma mettendo assieme una mole straordinaria di documenti, sentenze, tracciati radar, foto, indagini giornalistiche e dichiarazioni dei protagonisti. Su tutti, la testimonianza di Marco Affatigato, ex estremista nero e trafficante d’armi, al centro di un clamoroso depistaggio: prima venne dato tra i passeggeri del Dc9 e più tardi fu accusato di essere tra gli esecutori della strage di Bologna.
Perché il nostro Paese è stato “punito” con due attacchi così efferati? La ragione affonderebbe nel doppiogiochismo che caratterizzava all’epoca la politica estera di un’Italia in bilico tra alleanza atlantica e intrecci economici col mondo arabo. Sullo sfondo di questo scenario c’è l’inquietante sagoma del Secret Team, una struttura clandestina dei servizi segreti americani. Senza sottovalutare il ruolo giocato da componenti “parallele” dell’intelligence francese e del Mossad.
Stando a quanto rivela Affatigato, a bordo del Dc9 c’erano un carico di uranio arricchito, destinato alla Libia di Gheddafi per realizzare quella che tecnicamente si definisce una “bomba sporca”, e barre di uranio da inviare poi in Pakistan per confezionare il primo ordigno nucleare islamico. Chi portò materialmente a bordo l’uranio? Cucchiarelli ricorda che il decollo avvenne con due ore di ritardo per consentire «l’imbarco di un non meglio precisato detenuto». Nel 1980, del resto, i controlli di sicurezza sui bagagli a mano erano pressoché inesistenti. Da qui i dubbi che emersero già dopo la strage su tre cadaveri ripescati in mare e poi “scomparsi” dalla conta ufficiale. Si aggiungono altri misteri. Quanti aerei c’erano quella sera attorno al Dc9 ? E quale fu il ruolo dei due caccia – un Mig23 libico e un F14 americano – precipitati in Calabria in quelli stessi giorni, forse già il 27 giugno dopo l’abbattimento del Dc9 ?
L’uranio, dunque: ecco perché, stando alla ricostruzione del libro, venne organizzato quell’attacco “non ortodosso” e sofisticato, compreso l’utilizzo di tecniche di guerra elettronica. Un jet “fantasma”, celandosi dietro la traccia radar di un Air Malta di linea, si posizionò davanti al Dc9 azionando i postbruciatori per danneggiare irreparabilmente la cabina di pilotaggio, impedendo all’aereo Itavia di lanciare l’Sos. Poi il missile. Tesi che esclude l’ipotesi del coinvolgimento fortuito del Dc9 in uno scontro aereo legato al supposto attentato a Gheddafi «che però – sentenzia Cucchiarelli – non era a bordo di alcun volo sopra il Tirreno quella notte». Si può ben capire – rimarca – quanto Usa, Francia e Israele tenessero a contrastare sul nascere quei traffici nucleari.
Per quanto riguarda la strage alla stazione, Cucchiarelli non ha dubbi nel localizzare il punto in cui si trovava la seconda carica, quella di cui non si trovò mai il cratere: nella sala d’aspetto alle spalle di un’insegnante sarda, Maria Fresu, investita in pieno dall’esplosione e della quale non si trovarono mai i resti.
Squarci di luce che non bastano ancora ad illuminare tutti gli angoli bui. Nella conclusione restano intatte l’amarezza e l’indignazione per un Paese che, come dimostra Cucchiarelli, troppe volte ha preferito lasciar prevalere sulla ricerca della verità la ragion di Stato e l’ossequio agli alleati “forti” . —
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