L’«Elisir» porta a Trieste un direttore del coro che ama Dvorák e Brahms

Il coro del Teatro Verdi ha un nuovo direttore, Fulvio Fogliazza, che con il debutto di “Elisir d'amore” di Gaetano Donizetti inizierà una collaborazione della durata di un anno. Si tratta in...
Di Rossana Paliaga

Il coro del Teatro Verdi ha un nuovo direttore, Fulvio Fogliazza, che con il debutto di “Elisir d'amore” di Gaetano Donizetti inizierà una collaborazione della durata di un anno. Si tratta in assoluto del suo primo incarico a Trieste, una delle poche città italiane dove non ha ancora lavorato. Nato a Cremona, diplomato a Parma in pianoforte con Rattalino e in composizione con Margola (oltre agli studi di direzione con Ferrara e Celibidache), ha lavorato nei teatri lirici di Cremona, Bergamo, Brescia, Parma, Bologna, Torino, Palermo, Genova e Cagliari. Come compositore ha scritto per organici diversi, anche un concerto per pianoforte e orchestra.

Sorridente, cordiale, premuroso ed empatico, esprime la serenità data da anni di esperienza, nei quali ha sviluppato un'idea precisa delle qualità necessarie al direttore del coro di un ente lirico: «Il lavoro meno difficile - spiega Fulvio Fogliazza - è quello di armonizzare gli artisti del coro e qui a Trieste ho trovato un ambiente favorevolissimo, con grande voglia e capacità di imparare. In generale nelle produzioni operistiche una delle questioni più delicate è il rapporto con il direttore d'orchestra, soprattutto se non abbiamo la possibilità di confrontarci prima sulle intenzioni musicali. In fondo siamo due musicisti che lavorano allo stesso progetto, sul quale può capitare di avere approcci diversi. C'è poi il regista, che spesso tende a sfaldare le sezioni del coro per esigenze sceniche, mentre il direttore di coro cerca di amalgamarle in modo che cantino bene insieme. Le priorità possono essere diverse in un lavoro così articolato, quindi occorre diplomazia e capacità di collaborare, al di là del fatto puramente musicale».

Nelle regie più dinamiche solitamente pensiamo al virtuosismo dei solisti e dimentichiamo le esigenze del coro, che nell'opera è uno strumento in movimento.

«Non solo: i coristi si muovono in costume e devono recitare e interpretare ruoli precisi, costruire e movimentare la scena. Nel momento dello spettacolo il direttore di coro invece sparisce, ma rimane sempre dietro le quinte per aiutare i coristi, magari negli attacchi più ostici».

Il coro di un ente lirico ha sempre un doppio aspetto: quello di coro d'opera e quello concertistico-sinfonico. Quali sono i desideri che vorrebbe realizzare?

«Qui a Trieste vorrei fare lo “Stabat Mater” di Dvorák. Credo sia stato fatto un po' di anni fa, ma rimane un mio grande desiderio, quanto il “Deutsches Requiem” di Brahms, capolavoro di struggente bellezza. Nel campo dell'opera ho nel cuore il Don Carlo di Verdi, ma si tratta di una di quelle opere che oggi pochi teatri possono permettersi. Amo inoltre il repertorio antico, da Purcell fino a Leoninus e Perotinus: con la musica antica ho realizzato progetti bellissimi, quanto con quella contemporanea, spesso tecnicamente ardua per le voci».

Ora si sta dedicando all'«Elisir d'amore» di Donizetti, il suo primo incontro con il coro del Verdi. Qual è stata la prima impressione?

«È un coro docile, educato: alle prove c'è silenzio, i coristi ascoltano e non commentano. Questo è importante e non scontato. L'accento regionale a suo modo caratterizza il suono di ogni coro e in questo caso ho riscontrato una vocalità aperta, sulla quale stiamo già lavorando. Ci sono belle voci e ovviamente ci impegneremo perchè esistono sempre margini di miglioramento, come le ripeterà certamente anche chi mi seguirà in questo incarico. Spero si faccia avanti qualche giovane con le qualità giuste».

L'inizio della sua collaborazione sarà spumeggiante, divertente, con i vivaci cori "di rustici".

«Nell'Elisir troviamo una vocalità leggera, fresca, brillante, oserei dire quasi mozartiana, che non deve essere mai troppo ridondante. A questo ha già provveduto la scelta di ridurre il coro a 32 elementi. I cori dell'Elisir sono ben diversi dalla vocalità importante, che scava a fondo, della Norma».

Sta già pensando alla prossima produzione?

«Certamente, e non solo, infatti nei ritagli di tempo sto lavorando alla Luisa Miller».

Lei ha collaborato con direttori come Chailly e Gavazzeni, a contatto con solisti come Luciano Pavarotti e Mirella Freni. C'è qualche produzione o qualche amicizia nata nel dietro le quinte che ricorda con particolare affetto?

«Ricordo un memorabile “Faust” di Gounod a Bologna negli anni '70, con la direzione di Giovaninetti e la regia di Ronconi. Tra i tenori del coro avevo il papà di Pavarotti, cantante dalla voce strepitosa: la pronuncia del francese gli creava qualche preoccupazione, ma il suo si bemolle bastava ampiamente a farla dimenticare. Nel backstage dei teatri sono nate tante sincere amicizie e una l'ho anche sposata!».

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