L’eredità di Ernesto Illy «Solo l’amore può dare equilibrio al mondo»

Dieci anni fa moriva l’imprenditore e scienziato triestino  re del caffè. Fra i suoi studi la teoria della complessità

Dieci anni fa, il 3 febbraio 2008, moriva Ernesto Illy, l’imprenditore e scienziato triestino che ha legato il suo nome e la sua opera alla Illycaffè, fondata dal padre Francesco nel 1933. Pubblichiamo di seguito un ricordo a firma di Alberto Felice De Toni, Rettore dell’Università di Udine.



Ho avuto la fortuna di conoscere Ernesto Illy lungo le affascinanti vie della complessità. Ci legava una passione comune: quello dello studio dei fenomeni non lineari. Quando lo invitai a Udine a tenere un seminario all’interno del corso di Gestione dei Sistemi Complessi - rivolto agli studenti di ingegneria gestionale - spiegò perché i moscerini volano in modo caotico sulle rive dei fiumi formando sciami impazziti. «Le rane conoscono la trigonometria e se i moscerini volassero secondo traiettorie lineari sarebbero già estinti». La non linearità, la complessità come fonte di sopravvivenza. Era solito ricordare che nello sviluppo della illycaffè applicava spesso i principi delle scienze della complessità. È stato un esempio eclatante del fatto che l’innovazione è una disobbedienza andata a buon fine. Ma quali sono state le “disobbedienze” di Ernesto ai consolidati modelli di business nel settore del caffè?

La prima disobbedienza è stata quella di concepire e realizzare un modello di business basato sulla strategia “one blend, one brand” ovvero “una miscela, un marchio”, ripudiando il paradigma di segmentare il mercato in diverse fasce e offrire diverse miscele di caffè, così come attuato da tutti gli altri competitori, e così come tradizionalmente insegnato nei sacri testi di marketing. Nel mondo la miscela Illy è una ed una sola: 100% arabica; spunta ancora oggi prezzi superiori a quella di altre miscele concorrenti di elevata qualità.

La seconda disobbedienza è maturata in occasione di un evento destabilizzante come la chiusura nel 1991 dell’Istituto Brasileiro du Café, l’ente pubblico preposto alla commercializzazione del caffè. Le sue veci vengono presto prese da alcune potenti multinazionali americane capaci di imporre le loro leggi. Ernesto decide il bypass degli importatori statunitensi - in quanto di intralcio all’individuazione alla fonte delle cause della qualità “distorta” ed irregolare del caffè importato - e si approvvigiona direttamente dai produttori.

Per migliorare la selezione dei chicchi alla fonte, Ernesto decide di riconoscere un premium price ai coltivatori che rinunciano a mescolare i chicchi buoni con quelli cattivi, e per diffondere la cultura della qualità lancia nello stesso anno il Premio Brasile per Caffè Espresso di Qualità.

La terza disobbedienza è stata quella di fuoriuscire da una visione classica industriale del business per entrare in una nuova visione eco-sistemica.

Decide di puntare sulla condivisione della conoscenza nella coltivazione del caffè e istituisce nel 2000 l’Università del Caffè, fondata in partnership con l’Università di San Paolo. L’Università eroga corsi ai coltivatori-produttori per insegnare loro le tecniche per coltivare un caffè di alta qualità. Crea anche il Club Illy, luogo in cui i fornitori possono incontrarsi, relazionarsi e scambiarsi consigli e condividere conoscenza sul caffè.

L’appartenenza al Club è fonte di orgoglio e di reputazione nella comunità di riferimento del produttore. Grazie a queste azioni gli agricoltori brasiliani si sono trasformati da produttori di una commodity in produttori di nicchia del caffè di qualità; e la illycaffè anziché coprire una posizione di dominator, tipica dei sistemi industriali classici, è andata a ritagliarsi il ruolo di keystone nel neonato ecosistema del caffè, in analogia con l’importanza della pietra chiave di volta di un arco in muratura, che se rimossa, provoca il collasso dell’intera struttura architettonica.

Gli effetti ottenuti sono testimoniati in un articolo del 1998 di un giornale brasiliano, nel quale si indica il tempo diviso in due periodi: before Illy e after Illy e in cui i produttori di caffè si riconoscono “discepoli” di Ernesto Illy. Ernesto, ispirato da una chiara visione, ha decommotizzato il caffè verde del più grande produttore mondiale.

L’innovazione non ha una natura: ha una storia. Nelle lande della complessità l’approccio quantitativo è necessario, ma non sufficiente. Vi sono angoli bui, piccole o grandi sfumature, dove i simboli matematici non arrivano, dove il narrare acquista, riconquista importanza e dignità. La realtà è troppo complessa per essere condensata in un sistema di equazioni: il complesso va narrato. E il racconto ci ha mostrato un Ernesto Illy coraggioso nel disobbedire ai paradigmi preesistenti e determinato nel perseguire il successo delle sue idee.

Nel 2005 gli chiesi di scrivere la prefazione ad un mio libro che è uno spaccato del suo pensiero sulla complessità: «Quando la vita scorreva lentamente come un pigro fiume, la complessità esisteva, ma non veniva percepita. Oggi tutti se la sentono addosso, perché il ritmo si è fatto serrato come un torrente vorticoso. Questo libro è un prezioso manuale per comprendere cosa sta succedendo e un invito a tentare di adattare il nostro sapere alla nuova realtà. Gli autori utilizzano il suo messaggio nella scrittura del testo: la verità è nella rete, ed essi utilizzano la conoscenza di decine di studiosi, portandoci per mano con grazia in questa selva selvaggia, senza strade e con infiniti trabocchetti, ed aiutano a giungere alla saggezza necessaria alla comprensione ed all’addomesticamento della complessità. La complessità delle forme delle Dolomiti può essere riassunta in un numero frattale. Così dalla “pattern recognition” di processi complessi è possibile estrarre le leggi che talvolta li governano». «Come ascoltare un coro - continuaa Illy nella suia nota -, ricco di mille voci. Dimentichiamo le regole deterministiche. La complessità non permette l’estrapolazione del passato per la ricerca delle strade future. La realtà è un sistema dinamico, che decide le sue traiettorie mentre esse si stanno svolgendo. Per indovinarle dobbiamo usare la conoscenza annidata nei molti nodi della rete. Chi sa usare questa conoscenza dispersa, sopravvive. Dimentichiamo l’equilibrio, che si trova solo nelle cose morte». «La vita - concludeva Ernesto Illy - e tutto ciò che da essa deriva è lontana dall’equilibrio, è alla ricerca continua del nuovo e dell’improbabile, unico modo per sopravvivere. Un messaggio coraggioso ma realistico che deve diventare la bussola dei manager del futuro».

Ma la sua visione della complessità aveva anche una dimensione etica. In una splendida intervista, una specie di testamento morale, ebbe a dire: «La complessità è la madre di cose importantissime: è la madre della libertà. E quindi è la madre della responsabilità. Ed è anche la madre della creatività, perché l’idea innovativa nasce dall’incontro di cose che appartengono a domini molto diversi. Però è anche la madre dell’incertezza. Se la natura è complessa - e dunque imprevedibile - dobbiamo chiederci se esiste un modo per diminuire questa imprevedibilità. In effetti un modo esiste e dipende dalle nostre decisioni di esseri umani». «Esiste un modo - disse ancora Illy - per mettere ordine nel caos. In un sistema caotico deterministico un cosiddetto “attrattore” è capace di creare ordine. Facciamo un facile esempio: se metto dei chiodini su foglio di carta e comincio a farli saltellare assisto ad un sistema caotico; dopo di che se prendo un magnete e lo metto sotto il foglio ecco che tutti i chiodini si orientano secondo il campo. Il magnete funge da attrattore». «Qual è - concludeva Illy - l’attrattore che può mettere ordine alla complessità delle interazioni umane? È l’amore. Se gli uomini sono capaci di amarsi questo attrattore rende il mondo infinitamente meno complesso, molto più prevedibile e diventa quello che dà il senso della serenità e del piacere di vivere».

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