Lezioni di Storia a Trieste: Flores sul genocidio degli armeni

Domenica 9 novembre il primo appuntamento del ciclo, quest’anno incentrato sul Novecento. Gli incontri si terranno al Teatro Verdi alle 11

Paolo Marcolin
Alcuni rifugiati armeni scampati al massacro turco del 1915 Foto Uppa/Photoshot /AGF
Alcuni rifugiati armeni scampati al massacro turco del 1915 Foto Uppa/Photoshot /AGF

La storia non si ripete mai, ma rileggere il passato ci permette di capire il mondo che gira oggi intorno a noi. Per trovare le radici del nostro presente le Lezioni di Storia, appuntamento che da ormai più di dieci anni riscuote sempre un grande successo di pubblico, propone quest’anno un ciclo tutto centrato sul Novecento.

Eventi, idee, processi e dinamiche che hanno plasmato la realtà attuale, a livello politico, sociale, economico e culturale saranno riletti a partire da domani, domenica 9 novembre, quando Marcello Flores dedicherà la sua lezione al massacro degli Armeni, compiuto dagli Ottomani negli anni della Prima guerra mondiale e che costò la vita a oltre un milione di persone.

Gli incontri del ciclo, ideato e progettato dagli Editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste, sono organizzati con il contributo della Fondazione CRTrieste, Media partner “Il Piccolo” – Nord Est Multimedia e si terranno al Teatro Verdi alle 11.

Introdotti da giornalisti de “Il Piccolo” , sono a ingresso libero fino ad esaurimento posti. Le lezioni potranno essere seguite anche in diretta streaming sul canale YouTube del Comune di Trieste e sul sito de “Il Piccolo” .

Professor Flores, lei è stato il primo in Italia a dedicare, nel 2017, uno studio sul genocidio degli Armeni. Quali ne furono le origini?

«Il fenomeno inizia con l’affermarsi di un forte nazionalismo turco, che vede nell’Anatolia l’unica vera patria del popolo turco. Si diffonde l’idea che in Anatolia debbano vivere soltanto i turchi. Il problema è che, dopo la perdita dei territori europei, molti cittadini turchi provenienti da quelle aree vengono trasferiti nella parte orientale dell’Anatolia, una regione abitata da secoli – direi da millenni – dagli armeni. Questo porta a tensioni crescenti tra le due comunità».

Quindi il conflitto ha anche una dimensione etnica e religiosa?

«Esattamente. La conflittualità etnico-religiosa cresce a fine Ottocento, e già allora si registrano massacri e violenze. Nei circoli nazionalisti più radicali prende corpo l’idea di espellere gli armeni dall’Anatolia».

Quando questa idea si traduce in un’azione concreta?

«Con lo scoppio della Prima guerra mondiale. L’Impero Ottomano è alleato della Germania e teme che gli armeni possano allearsi con la Russia, dove vive una minoranza armena. I russi stanno avanzando, e si diffonde la paura di una possibile collaborazione tra armeni e russi. Mentre i britannici sbarcano ai Dardanelli, il governo ottomano prende una decisione tragica: attraverso due leggi ufficiali ordina la deportazione di tutti gli armeni e la confisca dei loro beni».

Quante furono le vittime?

«Un milione e duecentomila, una cifra enorme soprattutto considerando che la popolazione armena complessivamente era di due milioni e mezzo. Quelli che si salvarono si dispersero in altri Paesi, una parte verso l’Armenia russa, una delle repubbliche sovietiche. In Turchia rimasero in 50 mila. Molti bambini furono islamizzati a forza, presi da famiglie turche, e in gran parte si sono dimenticati le loro origini. Una trentina di anni fa, quando è esplosa a livello mondiale la discussione sul genocidio, sono venuti fuori molti casi di persone che hanno identificato nei propri nonni degli armeni che erano stati islamizzati a forza».

Cosa accade dopo la fine della guerra?

«Con la sconfitta dell’Impero Ottomano, gli inglesi favoriscono la formazione di un governo di tipo liberale. Questo governo tenta di processare i responsabili dei massacri, ma i principali colpevoli erano già fuggiti all’estero, protetti dai tedeschi. Vengono condannati in contumacia».

E come reagisce la comunità armena?

«Alcuni giovani armeni organizzano una vendetta. Nel 1921, uno di loro assassina a Berlino l’ex capo dell’Impero Ottomano, ma il tribunale della Repubblica di Weimar assolve l’attentatore, riconoscendone le motivazioni».

Che ruolo ha invece Mustafa Kemal Atatürk in tutto questo?

«Atatürk rappresenta un nazionalismo diverso: laico, moderno. Non è coinvolto nel genocidio; anzi, fa giustiziare alcuni dei responsabili. Tuttavia, allo stesso tempo, accoglie molti altri funzionari ottomani all’interno del suo nuovo regime. È proprio il regime di Atatürk a “mettere la sordina” su quegli eventi, rendendoli un tabù nella società turca per decenni».

Quando si è iniziato a parlare del genocidio?

«A partire dagli anni Sessanta e poi soprattutto dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Prima non se ne aveva conoscenza neanche in Italia dove c’era un certo numero di esuli armeni che erano venuti a rifugiarsi soprattutto a Venezia dove c’era una antica comunità, e che è uno dei centri armeni più importanti d’Europa».

Oggi in Turchia si riconosce quanto è successo?

«No, ma mentre prima si negava il massacro, ora si riconosce che c‘è stato, seppur riconducendolo all’ambito della guerra. Quello che si rifiuta in modo totale è di usare il termine genocidio, anche se qualche anno fa è uscito un libro, scritto dal nipote di uno dei tre triumviri dell’impero ottomano che lo avevano organizzato, intitolato proprio”Il genocidio degli Armeni”».

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